Nelle scorse settimane, ho scritto alcuni
articoli su questa dolorosa vicenda, cercando di tener separati i fatti dalle
fantasie, il dispiacere dall’odio, la commozione dalla rabbia, la voglia di
giustizia da quella di vendetta.
E ho invitato tutti a fare altrettanto per
dimostrare affetto e sentimenti nei confronti del giovane Marco Vannini,
innocente vittima di quel che appare un assurdo e demenziale gioco
all’omicidio. Ma anche per senso di responsabilità e per rispetto nei confronti
di quella provatissima famiglia, capace, nonostante la tragedia, di grande
dignità e di civilissima risposta. Un esempio di rara civiltà per tutti.
E non volevo ulteriormente intervenire, in
attesa delle procedure e dei lunghi tempi della giustizia e, soprattutto, di
conoscere i fatti reali accertati dalla magistratura. Anche se quel terribile
film fatto di spari, di telefonate, di lamenti, di intercettazioni, di
omissioni e depistaggi lo conosciamo tutti molto bene. Compreso l’esiziale epilogo.
Capisco che ognuno è diverso e diversamente
esprime le proprie sensibilità di fronte a una vicenda talmente incredibile che
ha sconvolto il cuore di tutti gli italiani.
Comprendo le reazioni emotive e passionali
di molti che, sopraffatti dalla rabbia e dal cinismo ciontoliano, vorrebbero
subito una condanna esemplare dei rei, prima di subito.
Non condivido, ma rispetto chi voglia o
scelga di sublimare il proprio dolore attraverso preghiere, invocazioni,
immagini di angeli biondi tra nuvole e mare, o elaborando fotomontaggi luminosi
e santini digitali in abbondanza.
Ma, non posso accettare che, nonostante i
continui appelli alla moderazione del serio cugino Alessandro, continuino a
proliferare commenti violenti e volgari, insulti, minacce e deliranti ipotesi,
interpretazioni cervellotiche e ridicole, al limite della paranoia, o certezze
indubitabili sulle dinamiche del delitto. Spesso, tutto condito con abbondante
disprezzo della lingua italiana e con paurosi attentati alla grammatica.
O si leggono spropositi e bestialità del
tipo, “diamo la caccia ai Ciontoli”, o fervidi auguri di cancro all'avvocato
difensore o che gli uccidano il figlio o la forca in piazza, o “li ucciderei
con le mie mani se fossi io la madre” …e così via.
Magari, per concludere con un ipocrita “io
sono Marco” o “giustizia per Marco”.
Un abusato ritornello, ripetuto a oltranza,
fuori luogo e fuori tempo, che non giustifica le paradossali affermazioni,
appena pronunciate. Molto più di uno sproloquio, molto più di un’aberrazione
della ragione e della comune logica, che fa venire i brividi.
E’ questo il modo di dimostrare amore e
vicinanza? E’ questa la vostra idea di giustizia? Nemmeno i primitivi
arrivavano a tanto, all’epoca delle caverne. L’homo sapiens non usa la clava,
ma il cervello.
Tutto questo non fa altro che sporcare la
bella pagina che un nobile gruppo di ventimila persone ha voluto e creato per
manifestare solidarietà e partecipazione.
Ben vengano iniziative di mobilitazioni,
appelli, pensieri, ricordi, testimonianze di solidarietà in nome della verità e
della giustizia.
Ma diciamo no a questa stupida spirale di
violenza.
Smettiamo di recitare il mantra inutile
della vendetta, dal mattino alla sera. Evitiamo di sprigionare fantasie malate.
Non trasformiamo Marco in una specie di
feticcio popolare, da adorare selvaggiamente, scrivendo una riga di cazzate
tutti i giorni, solo per comparire o per illudersi di contare. Non siete voi
protagonisti, se non della vostra miseria culturale.
L'odio, non solo non conduce alla porta
della verità, ma fa il gioco di coloro che la vogliono celare, per sfuggire
alle proprie responsabilità.
11 febbraio 2016 (Alfredo Laurano)
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