Forse è colpa delle infinite diete, della
civiltà dell’immagine, degli standard del nuovo consumismo alimentare, della
oligarchia dei chirurghi plastici e della supremazia del botulino: fatto sta
che il consumo di pane è dimezzato negli ultimi dieci anni. Coldiretti: “siamo
al minimo storico".
Eppure, continuiamo a dire:” è buono come il pane” o “è un pezzo di pane”,
per descrivere una persona molto mite e altruista.
Metafore a parte, buono come quella fetta
di pane che nella nostra infanzia, solo con un goccio d’olio, o una sottile
leccatina di burro e zucchero, costituiva una merenda sana ed equilibrata.
Quel pane per cui, nella storia - e ancora
oggi in alcune parti del mondo - si sono combattute tantissime battaglie, come
il famoso assalto ai forni manzoniano.
Quel pane che, per trovarlo fragrante al
mattino sulle nostre tavole, qualcuno lo lavora e lo produce alle tre di notte.
La media di consumo degli italiani è scesa
a 85 grammi al giorno. Non è più di moda
Era convinzione popolare che il pane fosse
il miglior nutrimento, ma negli ultimi tempi gli italiani devono aver cambiato
opinione e abitudini a tavola.
Con il calo degli acquisti, ora sono a
rischio anche i pani della tradizione, tra i quali filoni napoletani, pagnotte
di grano duro, sciapo toscano, coppiette ferraresi, casareccio di Genzano, di
Altamura e il pane di Matera.
Sale l'interesse per il pane biologico e,
con l'aumento dei disturbi dell'alimentazione, sono nati nuovi prodotti senza
glutine e a base di cereali alternativi al frumento (kamut, farro). Molto
apprezzate le varianti salutistiche, ad alto valore nutrizionale: a lunga
lievitazione, senza grassi, con poco sale, integrale, a km 0, come quello
realizzato direttamente dai produttori agricoli con varietà di grano locali,
spesso salvate dall'estinzione.
Oggi in circolazione, anche nei
supermercati, c’è di tutto: pane precotto e surgelato proveniente dall’Est
europeo, pane trattato con alcool etilico per prolungarne la conservazione,
pane a lievitazione rapida.
Scegliendo o dovendo per necessità comprare
prodotti a basso costo e a bassa qualità, la prima e migliore conseguenza è
l’acidità di stomaco, per colpa di lieviti che non hanno avuto il tempo di
completare il loro lavoro.
Dall’alta parte, abbiamo un tessuto di
panificatori artigianali che sta morendo per una serie coincidente di motivi.
Il primo è il ricambio generazionale:
quanti giovani sono disposti ad alzarsi, quando molti altri coetanei vanno a
letto, per cominciare a lavorare il prezioso alimento?
Poi, c’è appunto il cambiamento delle
abitudini: dalle tavole italiane sta sparendo il pane, se ne mangia sempre di
meno. Infine, perché il pane viene spesso sostituito da una lunga serie di
prodotti industriali, affini (grissini, cracker, sfogliatine…), molto
reclamizzati e imposti sul mercato.
Pane nostro, bene prezioso, modello per
eccellenza di cibo e di convivialità, fin dai tempi più antichi, e alimento più
consumato in tutto il mondo.
Simbolo ideale e concretissimo di storia e
tradizione che, se cadeva a terra, si raccoglieva, si puliva, si soffiava e si
baciava, in un momento di semplice poesia contadina. Un gesto, quasi sacro, che
restituiva al pane il suo valore eucaristico, universale e di condivisione. Con
le sue mille forme, il suo sapore e il suo profumo, intenso come quello della
nostra infanzia.
Come vi si può rinunciare?
Come si può cancellare un pezzo importante
della nostra esistenza e della nostra memoria collettiva, buono come il pane?
15 febbraio 2016 (Alfredo Laurano)
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