Pasqua, festa della Resurrezione.
No, strage degli agnelli che, dopo tre
giorni, non risuscitano. Una strage che si sta consumando in queste ore.
Anche se non ci sono più riti e sacrifici
dedicati a una qualche divinità, in nome di una qualche religione, resta la
tradizione della tavola imbandita, dell’abbuffarsi d’abbacchio e di regalare,
ipocritamente, ai bambini l’agnellino di zucchero, con fiocchetto rosso e
campanellino.
Gli agnellini ci ispirano tenerezza quando li
vediamo, eppure a un mese di vita vengono strappati alle madri, costretti a
lunghi viaggi terribili ed estenuanti su tir strapieni, per arrivare a un
lurido macello in cui gli animali terrorizzati vengono immobilizzati, storditi,
appesi a un gancio per una zampa, e lasciati dissanguare.
Prima di essere
appesi sentono l'odore del sangue e le urla di terrore dei loro compagni.
Agnelli
che vengono legati insieme, «a mazzi», per le zampe anteriori e appesi per
essere pesati.
Agnelli che camminano sul sangue e urlano mentre vengono spinti
con la forza al macello. E ancora agnelli che vengono issati a testa in giù,
storditi con una scarica di corrente elettrica e sgozzati, mentre alcuni di
loro ancora si agitano e sono coscienti.
Tutto questo, perché? Solo perché a molti
piace mangiarli! Non potrebbe esistere un motivo più futile per sottoporre questi
cuccioli a tanta sofferenza, e alla morte.
Ogni anno a Pasqua vengono uccisi 900 mila
tra agnelli, capre e pecore.
Animali che arrivano quasi tutti dai paesi
dell'est, con lunghi "viaggi della morte", stipati in camion in
condizioni insostenibili (molti arrivano al macello più morti che vivi) e mai
sottoposti a controlli.
Salvarli
è facile: basta non mangiare agnello a Pasqua, né in nessun'altra occasione.
30
aprile 2015 (Alfredo Laurano)
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