Guerriere in prima linea nella guerra contro
l’Isis.
Sono le valorose Peshmerga, combattenti
curde, che hanno liberato Kobane, la città più disputata, che è stata
riconquistata con il loro intervento decisivo: gli Yazidi assediati, affamati,
decimati nei villaggi sulle montagne, sono stati salvati e l'Isis messo in fuga.
Peshmerga significa “coloro che sono pronti
a fronteggiare la morte”: uomini e le donne che hanno combattuto per uno Stato
curdo libero tra Iran, Iraq, Siria, Turchia
Per la popolazione curda, i Peshmerga non
rappresentano solo i militari che combattono, ma sono anche gli angeli che
proteggono i loro confini e le loro libertà.
Dopo la recente strage degli yazidi
cristiani, molte curde siriane hanno scelto di combattere in prima linea. Sono giovani,
belle, coraggiose, decise, dalle lunghe trecce nere. Lasciano figli e famiglie
per combattere. Molte sono studentesse.
Mentre le mogli dei guerriglieri dell’Isis
sono islamicamente velate dalla testa ai piedi e vivono rinchiuse tra le
quattro mura di casa per dare il loro contributo al jihad con la completa
sottomissione, a pochi chilometri da loro, nella provincia curda di Jazira, altre
donne imbracciano i fucili, accanto agli uomini, per difendere la loro terra.
I tagliateste sanguinari, capaci di eccidi
di massa e di trasformare bambini in kamikaze, le temono e sono intimoriti
dalla sola vista di una donna in divisa.
Forse è il possibile tallone d’Achille dei
miliziani jihadisti dello Stato Islamico: non vogliono essere uccisi da una
donna perché il loro credo promette 72 vergini in paradiso, se verranno
sacrificati in guerra come martiri di Allah, ma se muoiono per mano femminile,
è scritto che non potranno entrare in paradiso.
Perciò hanno paura del “Tululu”: si chiama
così in curdo, l'urlo di guerra di quelle partigiane, la voce del disprezzo, che
le guerriere di notte lanciano come animali da preda verso gli uomini dell'Isis,
nei villaggi fra la Siria e l'Iraq dove i terroristi hanno ucciso, decapitato e
infilzato sulle picche le teste dei bambini.
E’ il grido di liberazione di mogli, madri e
figlie che combattono accanto ai loro mariti, padri e figli, senza sconti o
favoritismi, per l’indipendenza del loro Paese, ma anche
di assicurare un futuro e uno status a tutte le donne curde.
Anche per loro festeggiamo il 25 aprile.
24 aprile 2015 (Alfredo Laurano)
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