Esiste la guerra e basta!
Nessun aggettivo ne migliora il significato, né la giustifica. E le motivazioni che si danno alla pubblica opinione, attraverso i media internazionali che le esaltano e le amplificano, sono sempre più che nobili e di obiettiva necessità. Mai casuali o pretestuose.
Non v’è mai, stranamente, una possibile alternativa diplomatica o
politica, c’è sempre una più che valida ragione per spiegare una guerra: Saddam
aveva le armi di distruzione di massa, in Afghanistan si doveva eliminare il
terrorismo, in Kosovo fermare la pulizia etnica. Oggi, in Libia, bisogna proteggere
i civili.
Ogni guerra è sempre un’aggressione alla sovranità di un altro
Paese: un atto militare eticamente travestito
da intervento umanitario, anche quando si dichiara al mondo che verranno colpiti, con
precisione chirurgica, solo obiettivi sensibili e target mirati. Le stragi di
civili, di scuole e di ospedali, che puntualmente si verificano, sono purtroppo
ineliminabili effetti collaterali. Certo, molto indesiderati.
Di tale menzogna, ne abbiamo infinite prove in tutte le guerre
“supertecnologiche” di questi ultimi anni. In realtà i conflitti armati non
sono mai mossi da motivi umanitari, non nascono per esportare la democrazia,
per liberare popoli oppressi da tiranni e dittatori. Si fanno per mere ragioni
economiche, per il controllo delle risorse petrolifere o di gas naturali, per inseguire
ambizioni neo-colonialiste, per dare una mano e rivitalizzare l’industria delle
armi, in tempi di crisi economica. Alla
faccia e al di sopra del diritto internazionale e, nel nostro caso, dell’ormai inutile
articolo 11 della Costituzione: “L’Italia
ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e
come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
Se le potenze occidentali fossero mosse da genuina volontà
democratica o da spirito cristiano, non resterebbero inermi di fronte agli
attuali massacri nello Yemen e nel Bahrein, nel totale silenzio del mondo arabo
e della comunità internazionale, e ai tanti altri che li hanno preceduti
(Curdi, Ruanda, Somalia). Quando non c’è nulla da sfruttare, quando non ci sono
interessi di bottega nazionale, l’indifferenza regna sovrana, anche di fronte
ai genocidi.
Nel caso libico va osservato che la no-fly zone - decisa dalle Nazioni Unite senza
alcun rapporto con Gheddafi e senza la verifica del dichiarato, eventuale cessate il fuoco tra le parti - deve
essere necessariamente imposta con i bombardamenti, sempre e soltanto chirurgici,
e non credo sarà in grado di porre fine al conflitto civile. Anzi, porterà un ulteriore
spargimento di sangue e una probabile escalation della battaglia, anche via
terra e via mare, come già successo in Iraq.
Non per niente, Russia e Germania si sono astenute al voto della
risoluzione e hanno espresso forte preoccupazione per i pericoli e i rischi
connessi a questa operazione di “salvataggio” del popolo libico. O meglio, di
una parte, perché metà o non so quanto di quel popolo è col Rais, in quella
che, al contrario di Egitto e Tunisia, non è una rivolta popolare ma vera
guerra civile tra opposte fazioni tribali. L’esercito è rimasto infatti con
Gheddafi.
Va inoltre ricordato che da oltre quarant’anni quel paese è in
mano al dittatore e alla sua ricca famiglia; che fino a pochi giorni fa nessuno
lo definiva tiranno, despota e sanguinario, tollerandone, peraltro, abusi e
feroci repressioni; che era addestrato e
finanziato dai paesi occidentali (come fu per Saddam), con i quali intratteneva
importanti relazioni, accordi economici e graditi investimenti finanziari, in
particolare con Italia e Francia (Fiat, Unicredit e Sarkozy che gli vendeva
aerei e missili).
Va ancora ricordato, che dal nostro premier - suo ex grande amico (di
merende e bunga-bunga) che inizialmente non voleva disturbarlo - è stato
accolto tra osanna e frecce tricolori, pochi mesi fa; con tanto di tenda beduina e di cavalli
berberi, di belle, fedelissime amazzoni di scorta e di preziose lezioni di
Corano al seguito, nel rispetto del trattato d’amicizia. Sempre grato e riconoscente
anche per l’importante ruolo di sentinella di guardia ai porti e alla costa
nordafricana che bloccava, con durezza e crudeltà (documentata da stampa e TV internazionali), i tentativi di
migrazione dei tanti disperati di quel continente.
Senza dimenticare, infine, lo scandaloso baciamano! Alla grande star, al papa della Libia!
Ma tutto ciò era vero fino a
pochi giorni or sono, quando forse si poteva intervenire in altro modo (embargo,
sanzioni internazionali, congelamento dei beni). Quando Gheddafi era isolato e non aveva ancora
riconquistato col sangue le zone liberate dagli insorti, nella parte orientale
del paese. Magari con i caschi blu dell’ONU come forza di interposizione tra le
parti e l’impegno reale per un possibile negoziato, come pare volessero India e
Brasile, o con qualsiasi altro mezzo che non fosse la sporca guerra ( hai! Mi è
scappato l’aggettivo, ma è l’unico possibile).
Al di là dell’ipocrisia bellica e delle dichiarazioni di facciata,
anche in questa scelta armata contano gli interessi occidentali, in particolare
di Francia e Gran Bretagna, ma anche della piccola Italia – fresca di
anniversario, ma pronta com’è d’uopo al voltafaccia - che teme di perdere la
sua parte di sfruttamento commerciale nell’ennesima guerra che puzza solo di
petrolio. Anzi, no.
Come la pecunia, anche “petroleum
non olet!”
21 marzo 2011
AlfredoLaurano
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