Il caso della povera
donna che ieri si è auto-incendiata nella sede Inps di Torino non è né il
primo, né l’unico, né certamente l’ultimo. Tanti l’hanno preceduta in questo
gesto di autolesionismo per sopravvenuta disperazione, in questa ennesima storia
di ordinaria emarginazione e di menefreghismo sociale nel terzo millennio.
Ustionata nel 70%
del corpo, è un’altra vittima di un mondo del lavoro sempre più brutale e
precario, senza regole certe e solidarietà.
“Mi hanno licenziata di punto in bianco,
non mi danno l’indennità di disoccupazione, non ce la faccio più”, ha urlato in mezzo alla gente, in fila
allo sportello, prima di cospargersi il corpo di alcol e darsi fuoco con un
accendino.
Ma quello che più
sconvolge di questo nuovo dramma della miseria è l’incredibile, inevitabile
confronto da cui non ci si può sottrarre, in ordine ai tempi e alle avvilenti
circostanze di una insopportabile attualità.
Mentre la
poveretta reclamava una giusta risposta dalle istituzioni solo per mangiare e
sopravvivere, fino a compiere un gesto così estremo ed eclatante, altri
contemporanei lamentavano “analoghi” problemi di possibile ricchezza a rischio
di intollerabile quasi povertà.
Senza scivolare
nel facile qualunquismo, nell’ira popolare di troppa gente, offesa nella
dignità e mortificata nella conta settimanale dei centesimi per sbarcare il
lunario, non è giusto ignorare il caso del giovanissimo portiere del Milan,
tale Donnarumma, che, a diciotto anni, appena affacciato sulla vetrina dei
nababbi del calcio, rifiuta un ingaggio di soli quattro milioni di euro dalla
sua società e minaccia di andarsene in più generosi lidi e fra più prodighi sceicchi.
O i tanti altri personaggetti
del piccolo schermo Giletti, Clerici, Conti), pronti a decollare altrove, non potendo accettare tetti
miseri e offensivi di 240mila schifosissimi euro, l’anno, imposti dalla nuova
normativa sull'editoria.
Ricatti
nell’etere, estorsioni legali in mondo vacuo, debole e amorale che costringono
la Rai nazionale a scegliere una deroga per l’avido frate Fabio Fazio, a cui
hanno offerto un contrattino di circa dodici milioni di euro in quattro anni,
pur di non perderlo, di non lasciarlo andare nella nuova valle promessa dell’Eden
televisivo della prorompente La Sette.
“Sono certa che la perdita di Fazio avrebbe
portato uno scossone ai nostri ascolti, con effetti seri, non so se la Rai
avrebbe retto senza Fazio: possibile impatto sistemico, occupazione a rischio che
non ci siamo sentiti di affrontare, avendo tredicimila dipendenti", aggiunge la presidente Maggioni.
Se non è ricatto
questo, siamo al paradosso, alla conditio sine qua non, per garantire
occupazione e stabilità. O chiamatela, se
volete, emozione, scelta pro bono pacis, o per fare di necessità virtù e
salvare capra e cavoli dell’etere.
I tredicimila
ringraziano sentitamente il benefattore che, spudoratamente, amministra su
Raitre.
Eppure, una
ventina d’anni fa, Fazio non era così avido.
Ho fatto con lui
due o tre cose di TV: una convention allo Sheraton Hotel di Roma e un paio di
spot sull’uso del bancomat. Era un giovane capace, serio, attento,
professionale e anche geniale.
Poi, deve essersi
guastato col crescere.
Come tanti altri
che usano il mondo del lavoro, dello sport, dello spettacolo e dell’informazione,
come un incessante bancomat di uno sconclusionato mondo dell’effimero.
Datevi fuoco, in
senso metaforico. E vergognatevi quanto basta.
(Alfredo Laurano)
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