In
Italia, e anche nel mondo, è sempre tempo di riti e di parate: storiche,
sportive, marziali, politiche, religiose, di folclore e tradizione. Tutte
condotte con fierezza, con orgoglio e con qualche rivolo di fluttuante vanità.
Pochi
giorni dopo la rivista militare del due giugno, è in corso a Roma quella del Gay
Pride. E’ la storica parata per la rivendicazione dei diritti delle persone
Lgbt - lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer e intersessuali.
Nel
lungo percorso, sfila un concentrato di allegria, musica e colori tra bandiere,
striscioni, parrucche, costumi e carri allegorici.
Da
Piazza della Repubblica si arriva a Piazza della Madonna di Loreto, dove il bus
inglese a due piani del coordinamento Roma Pride si trasforma in palco per gli
interventi politici.
La
manifestazione da oltre venti anni porta al centro dell’agenda politica e
all’attenzione popolare i valori di laicità, i diritti alla parità, alla salute
e alla libertà di tutti, per contribuire a cambiare radicalmente la cultura
omofoba, i pregiudizi morali e le discriminazioni sociali e di genere del
nostro castigato Paese.
L’unica
cosa, però, che ancora non capisco è perché tutto questo debba trasformarsi in
una esagerata messa in scena, in un discutibile spettacolo di attrazioni
circensi di scarsa qualità e in un appariscente sfoggio di chiappe e di
esibizionismo: ossia in un folle, prosaico Carnevale.
Come
quello di Rio, ma senza la sua eleganza, la sua fantasmagoria.
E
senza nemmeno le Scuole di Samba o le nostrane Frecce Tricolori.
10
giugno 2017 (Alfredo Laurano)
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