Mi sono assai stupito, ieri mattina, quando la signora del
bar, che mi aveva preparato un ottimo caffè, mi salutava dicendomi:
“arrivederci e buon primo maggio!” E mi son chiesto, ma si dice ancora, come
buon Natale o buona Pasqua? Ha ancora senso questa festa soffocata e avvilita dall’attualità?
Da tempo, è la festa del lavoro che non c’è, la festa
dell’effimero e della precarietà e dei diritti revocati. Anche se, resta il
concertone per distrarre e non far troppo pensare.
Dalle pensioni al pubblico impiego, dai dati sull’occupazione
al boom dei voucher, al Jobs act e ai giovani che, quando trovano uno straccio
di lavoro, devono sapere che dovranno tribolare fino a settantacinque anni per
avere una mancia a titolo di pensione.
“Dal
governo non c’è un’idea di politica economica e di sviluppo. Quando interviene,
lo fa per togliere diritti. Non c’è mai l’obiettivo di rispondere ai bisogni
reali delle persone, di ridurre qualche diseguaglianza”. Dice la
Camusso.
A metà dell’ottocento, i lavoratori non avevano diritti:
lavoravano anche 16 ore al giorno, in pessime condizioni, e spesso morivano sul
luogo di lavoro.
Il 1° maggio 1886 fu indetto uno sciopero generale in tutti
gli Stati Uniti per ridurre la giornata lavorativa a 8 ore, ma a Chicago la
polizia lo represse uccidendo diversi manifestanti.
Oggi, ancora ricordiamo quei fatti che, insieme alla strage
di Portella della Ginestra del primo maggio 1947 in Sicilia - per quanto ci
riguarda, come italiani - diedero origine alla Festa del Lavoro, anche se, in
effetti, celebriamo solo un mito, veneriamo una radicata tradizione e una
memoria collettiva.
Quelle conquiste e quei diritti, col sangue conquistati, sono
di nuovo e ancora rimessi in discussione.
1° maggio 2016 (Alfredo Laurano)
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