domenica 15 maggio 2016

TIPITIPITIPITÌ COSA SEI?

“Tipitipitipitì dove vai, cosa fai, come mai…”, così cantava Orietta Berti, nel lontano 1970.
Oggi, scopriamo, invece, il TTPI che, a parte l’assonanza, è ben altra cosa, che non si canta, non si balla, ma un po’ tanto fa preoccupare.
TTPI: poco si conosce, poco se ne sa, poco se ne parla.
Quanti hanno sentito spiegare questo strano acronimo, che sta per “Transatlantic Trade and Investment Partnership”? Qualche rapida notizia ai TG per riferire della manifestazione-anti di qualche giorno fa a Roma, qualche articolo di stampa o sul Web, qualche spunto di dibattito nei talk, con pareri di chef stellati, nutrizionisti e imprenditori di settore.
Chiarimenti, motivazioni e approfondimenti, praticamente nulli: anche i media “tengono famiglia” e non possono inimicarsi fonti pubblicitarie, lobby economiche e multinazionali.

Il trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti è un accordo commerciale di libero scambio, in corso di negoziazione segreta, da circa tre anni, tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America, che ha lo scopo dichiarato di modificare regolamentazioni e standard esistenti e di abbattere dazi e dogane, per rendere il commercio più fluido e penetrante. Un sistema per far circolare le merci più facilmente, senza le barriere definite dai tecnici “non tariffarie”.
Ciò genererebbe nuove opportunità economiche e creazione di posti di lavoro, grazie a una crescita determinata anche da una più globale semplificazione normativa.
Sulla carta, e in teoria, tutto giusto e condivisibile.
Ma cosa potrebbe produrre, in realtà, tale liberalizzazione, se venisse approvata nella sua forma attualmente conosciuta?

Essendo i negoziati orientati alla privatizzazione dei servizi pubblici, si rischia la loro progressiva scomparsa. Tutti i settori di produzione e consumo come cibo, farmaci, energia, chimica, ma anche tutti i diritti connessi a servizi essenziali e di alto valore sociale - come la scuola, la sanità, l’acqua e la previdenza - sarebbero esposti a tale ulteriore, eventualità e alla potenziale acquisizione da parte di imprese e gruppi finanziari più potenti, e dunque, più competitivi. Contratti di lavoro o di protezione sociale o ambientale, potrebbero essere spazzati, via attraverso adeguate azioni legali.

Molte insidie e conseguenze negative correrebbero anche le piccole e medie imprese agricole che, non essendo in grado di reggere la concorrenza con le multinazionali, entrerebbero in crisi, se non venissero più protette dai dazi doganali e, soprattutto, se venisse dato il via libera alle colture OGM.

Ci sarebbero anche rischi per i consumatori perché le leggi europee sono diverse da quelle americane.
In Europa vige il principio di precauzione - l’immissione sul mercato di un prodotto avviene dopo una valutazione dei rischi - mentre negli Stati Uniti si procede al contrario: l’osservazione viene fatta in un secondo momento, anche in base alle conseguenze o a eventuali problemi legati alla messa in circolazione del prodotto (denunce, ricorsi collettivi o class action, indennizzazione monetaria).
Oltre alla questione degli OGM, questo riguarda anche l’uso di pesticidi, l’obbligo di etichettatura del cibo, la protezione dei brevetti farmaceutici, ambiti nei quali la normativa europea offre tutele maggiori.

In molti si oppongono all’accordo: dall’organizzazione internazionale Attac, a Greenpeace, a una rete di associazioni di vari Paesi, compresa Slow Food, fino a studiosi ed economisti vari.
Oltre ai temi e ai timori accennati, le principali critiche ai negoziati si riferiscono soprattutto alla loro segretezza, alla mancanza di trasparenza e anche il fatto che il principale studio sui benefici dell’accordo sia stato condotto da un Centro di studi economici di Londra, poco credibile perché finanziato da grandi banche internazionali.

In definitiva, visto che il commercio tra EU e USA è già libero, quasi al 100%, il vero obiettivo del trattato di liberalizzazione commerciale è proprio l’eliminazione delle barriere normative che in Europa hanno standard più rigidi, come le leggi ambientali e di sicurezza alimentare.
Per esempio, il divieto di importare carne trattata con ormoni: in USA, ne è imbottita al 90%. 
Anche se, va comunque detto, negli allevamenti intensivi di polli, suini, bovini e conigli vengono di fatto già somministrati, in Italia e Europa, estrogeni e antibiotici, anche a scopo preventivo.
Ma questa è un’altra dolorosa pagina che riguarda non solo l’alimentazione carnivora, ma anche la crudele condizione e i maltrattamenti degli animali, allevati in immonde strutture lager, chiusi in gabbie piccolissime o costretti a sopravvivere, fino al macello, in recinti senza spazio e senza luce, dove non possono nemmeno muoversi o girarsi. Dove spesso si ammalano e si feriscono, nel lerciume, fra escrementi e topi, anche quando partoriscono o allattano i cuccioli.

Poi, il divieto di importare frutta e verdura geneticamente modificata: non è prevista nessuna etichetta identificativa su prodotti OGM e su quelli trattati con ormoni e pesticida glisofato e quindi nessuna tutela per il consumatore che non è in grado di distinguere.
I prodotti delle multinazionali USA sono molto più economici - oltre che più scadenti - di quelli degli agricoltori e allevatori europei e, una volta introdotti sul mercato, potrebbero provocare la chiusura di molte imprese locali, la perdita di migliaia di posti di lavoro, la scomparsa di prodotti tipici e tradizionali.

Il TTPI vorrebbe quindi uniformare le regole sui controlli delle filiere, delle certificazione delle Dop e dell’Igp, dei sistemi di allevamento, di ormoni nei mangimi, di utilizzo della chimica e di semi transgenici nei campi, di etichettatura e tracciabilità. Per tutto questo è quindi una minaccia, è pericoloso per la salute di tutti e va fermato con ogni mezzo o azione consentiti.       
Ciò che è buono per le aziende e le multinazionali può essere buono anche per i cittadini?
Il giornale britannico Guardian ha scritto: “quando il 92% di coloro che sono coinvolti nelle trattative sono lobbisti, i consumatori hanno tutte le ragioni di sospettare che a beneficiare del TTIP saranno soprattutto le grandi corporation, a scapito della democrazia”.
 14 maggio 2016 (Alfredo Laurano)


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