E’
lo strumento universale attraverso cui passano comunicazioni ed emozioni, ma
anche giochi, foto, video, insulti, sfoghi, dolori, minacce e confessioni. Su
cui transitano e si oggettivano stati d’animo e pensieri, ma anche atti di
bullismo e di violenza, forme varie di discriminazioni, di raggiri, di truffe e
di sessismo. Con un semplice messaggio, si organizza un viaggio, un incontro o
un’avventura. Ci si innamora o ci si lascia con un click.
Insomma,
nel bene e nel male, lo smartphone - telefono intelligente e multimediale dalle
mille applicazioni - veicola e racconta buona parte della nostra storia
individuale.
Pochi
giorni fa, addirittura, una ragazza francese di 19 anni ha filmato il proprio
suicidio, prima registrandone l’annuncio con parole e pensieri rivolti ai suoi
amici su un social, poi lasciando acceso in funzione video il suo smartphone,
mentre si lanciava sotto un treno.
Da
bene di lusso è diventato subito un bene necessario, anzi insostituibile.
Da
dispositivo mobile che serviva solo per telefonare dappertutto - una volta, ci
stupivamo quando vedevamo qualche antesignano che parlava camminando, con
quell’aggeggio in mano - è diventato un fedele compagno della nostra vita
quotidiana, una protesi della nostra mano, con cui fare praticamente tutto. Dal
raggiungere un luogo o un indirizzo con l’app navigatore, all'aggiornamento
costante di informazioni e notizie, al controllo costante dei propri contatti
sui social network, dei messaggi.
Alla
posta, allo stadio, al ristorante, su treni e autobus o in qualsiasi altro
luogo pubblico tutti sono impegnati, senza sosta, a smanettare con due dita su
touch screen e tastiere illuminate, per avere il controllo totale su quello che
ci circonda.
La
tecnologia mobile ha del tutto permeato il nostro vivere quotidiano, dal
risveglio al mattino, fino all'ora in cui si va a dormire. Molte persone non
riescono a resistere nemmeno cinque minuti senza controllare quel magico
schermo, perché ha paura di "rimanere disconnesso" dal mondo.
Già
i numeri del fenomeno sono impressionanti e dovrebbero far riflettere.
Lo
guardiamo almeno 150 volte al giorno. Due terzi degli inglesi lo usano quando
sono in bagno, il 41% dei giapponesi lo porta nella vasca, l'8% degli utenti
controlla il proprio smartphone mentre guarda un film, al cinema, il 32% lo usa
mentre è alla guida. L’11% degli under 25 americani interrompe un rapporto
sessuale, se riceve una chiamata.
Nel
2009, gli italiani hanno parlato per ben 114 miliardi di minuti sul mobile,
contro i 104 sul fisso, mentre le schede Sim nel mondo sono 5,2 miliardi.
Non
solo: già dodici anni fa, uno studio dell’Università di Trieste mostrava che il
56% dei bambini di scuola elementare possedeva un cellulare e che solo il 32%
lo spegneva per andare a dormire. Un comportamento ad alto rischio, perché il
cervello dei bambini viene ancor più danneggiato dalle radiazioni dei
telefonini di quello degli adulti.
L'uso
di dispositivi mobili comporta l'esposizione continua alle onde radio che,
secondo alcuni clinici, causerebbero danni al cervello e l'OMS ha ribadito che
le radiazioni degli smartphone possono essere potenzialmente cancerogene.
Soprattutto
i più giovani ne sono completamente assorbiti e spesso si isolano dal contesto
reale in cui sono, solo fisicamente, presenti.
Se
prima un certo stress veniva causato solo dallo squillo e dal suono dell'arrivo
di un SMS dal cellulare, con gli smartphone il tutto si è amplificato a
dismisura. Notifiche Facebook, MMS, WhatsApp, E-mail: una costante richiesta di
attenzione, un continuo bip che obbliga a controllare, a rispondere, ad essere
costante bersaglio di informazioni e scambi.
Con
possibili conseguenze di dolori cronici, come la cosiddetta "tendinite da
messaggio" o il rischio di problemi visivi, a causa dello sforzo dei
nostri occhi, continuamente impegnati nella lettura del piccolo schermo.
Nelle
indagini della polizia scientifica, i dispositivi mobili sono ormai
assolutamente determinanti: si può scoprire esattamente dov'è o dov’è stata una
persona (GPS), cosa ha mangiato, con chi è o con chi è stata, cosa ha fatto o
chi ha cercato, cosa ha scritto, cosa ha pensato.
Oltre
a celle, mappe e intercettazioni, foto, informazioni e dettagli, che noi stessi
pubblichiamo ignorando la privacy, lo raccontano doviziosamente. Delitti e
reati vengono ormai risolti grazie alle evidenti tracce o scie elettroniche che
noi lasciamo ogni momento, segnalando, indirettamente, spostamenti e i nostri
dati personali.
Siamo
così social dipendenti da non poter fare a meno di giocare con le nostre
protesi digitali, anche mentre camminiamo, a testa bassa. Le conseguenze sono:
pali presi in pieno, come nei film, piedate che colpiscono con dolore i
marciapiedi o, peggio ancora, scontri frontali con altri pedoni nella nostra
stessa situazione.
In
Svezia, dove il 70% della popolazione è attiva sui social, hanno pensato di
avvisare del rischio chi si aggira per le strade con cartelli che segnalano
tale pericolo, con la figura di un uomo e una donna che camminano a testa bassa
guardando il proprio smartphone. Non essendo omologati dall’agenzia dei
trasporti, con ogni probabilità dovranno essere rimossi.
E
se può far sorridere, a Washington, per ovviare agli scontri fra pedoni, si è
pensato di creare un’apposita corsia sul marciapiede dedicata a chi utilizza il
cellulare mentre cammina.
Scherzi
a parte, l’installazione di questi cartelli potrebbe essere utile, soprattutto,
nelle stazioni della metro e ferroviarie: prestare attenzione nel salire o
scendere dai mezzi, potrebbe evitare spiacevoli sorprese.
Distrarsi
con il cellulare mentre si cammina per strada può essere fatale.
L'altro
giorno, una ragazza milanese che ascoltava musica con le cuffiette è finita
sotto un treno, che non aveva visto, né sentito arrivare, mentre attraversava i
binari.
Non
è, quindi, solo un tentativo di analisi e di costume, ma soprattutto un
problema di sicurezza sociale, perché alcuni sono incidenti banali, altri,
purtroppo, sono vere e proprie tragedie. Una vera e propria dipendenza, a volte
anche molto pericolosa.
Gli
smartphone sono quindi indispensabili?
No,
per secoli il mondo è sopravvissuto e andato avanti senza, ma, come qualsiasi
tecnologia di consumo, aiutano e possono essere molto utili.
Basta
usarli con un minimo di saggezza e di equilibrio e ricordarsi ogni tanto di
spegnerli per far riposare i nostri esauriti neuroni e per tornare a parlare
guardando in faccia le persone.
23
maggio 2016 (Alfredo Laurano)
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