Tra pochi giorni, il 9 maggio, saranno
trentotto anni dalla morte di Peppino Impastato, il giornalista e attivista
siciliano, ucciso dalla mafia, a Cinisi, per ordine del boss Gaetano
Badalamenti.
Quel 9 maggio 1978 fu anche il giorno del
ritrovamento del cadavere di Aldo Moro in via Caetani, a Roma, ucciso dalle
Brigate rosse dopo 55 giorni di prigionia, che oscurò completamente la notizia
dell’omicidio di Impastato.
Il corpo del giovane giornalista siciliano,
che era candidato alle elezioni comunali con Democrazia Proletaria, fu fatto
saltare con del tritolo sui binari della ferrovia Palermo-Trapani, per far
credere che si trattasse di un attentato suicida.
Fra depistaggi, responsabilità della stampa,
delle forze dell’ordine, archiviazioni e riaperture del caso, accompagnate da
petizioni popolari, solo la determinazione della madre di Peppino, Felicia, e
del fratello Giovanni - oltre al prezioso lavoro del giudice Rocco Chinnici,
assassinato anch’egli dalla mafia nel 1983 - fecero emergere nei lunghi 24 anni
la matrice mafiosa dell’omicidio. Fino alla verità e alle condanne del 2002
dell’esecutore Palazzolo, a 30 anni, e del mandante Badalamenti, all’ergastolo,
entrambi poi morti in carcere.
Era un destino forse segnato quello di
Peppino Impastato, nato a Cinisi in una famiglia di mafia. Un suo zio era un
boss di prima grandezza, suo padre, Luigi, era amico del numero uno di Cosa Nostra,
Tano Badalamenti, che fu poi il suo assassino.
Ma il ribelle, militante sinistra cambiò la
sua sorte: fin da ragazzo prese le distanze da quel mondo di mafiosi e cominciò
a denunciare il potere delle cosche e il clima di omertà e di impunità del suo
paese. Per questo motivo fu cacciato di casa, giovanissimo, dal padre.
Fondò il circolo culturale Musica e Cultura,
un’associazione che promuoveva attività culturali e che diventò un importante
punto di riferimento per i ragazzi di Cinisi, occupandosi di ambiente, di
campagne contro il nucleare e di emancipazione femminile.
Nel 1977, con la sua cerchia di amici creò
Radio Aut, un’emittente autofinanziata di controinformazione, dalla quale derideva
e sfidava la mafia e i politici locali: conduceva una trasmissione satirica in
cui ne parlava in maniera dissacrante.
La fine di Peppino, ucciso 5 giorni prima
della sua elezione a consigliere comunale di Cinisi - fu votato comunque e fu
simbolicamente eletto - cambiò drasticamente la vita di chi gli sopravvisse. Di
sua madre, Felicia e di suo fratello Giovanni, come di sua cognata Felicetta,
che diventarono i custodi della sua memoria.
Da qui, il film - da non perdere - che sarà
in onda il prossimo 10 maggio su Raiuno, interpretato da una straordinaria
Lunetta Savino.
Se “I Cento Passi", aveva fatto
conoscere al mondo la storia di Peppino, questo nuovo film “Felicia Impastato”
racconta la lunga battaglia di una madre coraggiosa e delle sue lotte per
ottenere giustizia. Mette in scena la sua forte personalità, senza tradirne il
carattere e gli ideali popolari, l’intelligenza e la sensibilità di una donna siciliana
semplice, ma determinata e fiera. Senza cadere nella tentazione di spettacolarizzare
i sentimenti e sfuggendo al rischio del didascalismo e della facile retorica.
Le nuove generazioni hanno bisogno di queste
storie.
Quella di Peppino e di Felicia, al di là
dell’emotività, lancia messaggi positivi e educativi, anche se questo film è un
omaggio alla memoria. Il futuro si può costruire anche in questo modo, perché
la mafia uccide e il silenzio pure.
Come scrivono sul sito della Casa della
Memoria Impastato, noi siederemo in prima fila perché, a dispetto degli indegni
spettacoli che i media in alcuni casi ci offrono - vedi Riina jr a Porta a
Porta - riteniamo che siano le drammatiche vicende come quelle di Felicia a
dover essere raccontate e conosciute, da tante madri e tanti figli.
Preservare la loro memoria e raccontare al
mondo intero quello che è stato il loro impegno nella lotta alla mafia sono
doveri dai quali non ci possiamo esimere.
5 Maggio 2016 (Alfredo Laurano)
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