E’
tornato, finalmente, anche il secondo Marò e tutti siamo contenti. Se non
altro, perché almeno non sentiremo più recitare rosari quotidiani, non
ascolteremo altri deliri irrefrenabili di nazionalismo ambiguo o invocazioni di
spirituale patriottismo alla carbonara.
Quello
dei Marò era diventato un mantra fastidioso, ben farcito di italica ipocrisia. Una litania quasi vespertina, una supplica da Madonna del
Divino Amore, che si propagava tutti i giorni, fino a rompere i “maroni”.
Accolto all’aeroporto da due
ministri, da un plotone di giornalisti, telecamere e microfoni, da autorità e
militari, nonché da cerimonieri e addetti e dal solito drappello di curiosi e
nostalgici nullafacenti, Salvatore Girone - in perfetta forma ed elegante
divisa marinara - ha vissuto un particolare momento di emozione e celebrità,
fra migliaia di flash e strette di mano. Prima o poi, avrà abbracciato con
calma anche la famiglia.
Pochi
giorni fa, appena si era diffusa la notizia del suo attesissimo rientro, più di
qualcuno aveva proposto di farlo “sfilare alla parata” del Due Giugno per
esibirlo al popolo sovrano, come un trofeo conquistato, dopo una lunghissima
battaglia di formalità legali e normative. Poi, per fortuna, tutti hanno fatto
marcia indietro - negando perfino ogni lontana intenzione - e un opportuno
lampo di buon senso è prevalso su quella scelta inopportuna e di cattivo gusto,
dal più che pacchiano sapore elettorale.
In fondo, con Massimiliano La
Torre, l’altro fuciliere di marina, suo compagno di lotta e di cavilli - già
rientrato da tempo per motivi di salute - era diventato, suo malgrado, un eroe
nella fantasia popolare, un’icona dell’ingiustizia rigida e burocratica, anche
se entrambi, a lungo trattenuti per essere
giudicati dalla locale magistratura, avevano ammazzato per sbaglio due
poveri pescatori indiani. Un dettaglio, assai poco significativo, che molti
compatrioti avevano subito dimenticato.
Due
simboli quasi santificati, quindi, elevati al rango di eroi e di mitiche
figure.
Ma,
forse, sarebbe bene ricordare che “eroe”,
per definizione e per il vocabolario, è colui al quale si attribuiscono gesta
prodigiose, virtù e meriti eccezionali, che dà prova di grande valore e
coraggio, affrontando gravi pericoli e compiendo azioni straordinarie o chi si
sacrifica per affermare un ideale o per proteggere il bene altrui.
Come,
per esempio, chi salva tante vite umane in mare, chi aiuta, cura e si prodiga
per gli altri, in condizione spesso difficili, con pochi mezzi e tanta
fantasia.
Chi fa scelte umanitarie, chi opera nel volontariato e nella solidarietà, lontano dalle vetrine e dai riflettori.
Chi fa scelte umanitarie, chi opera nel volontariato e nella solidarietà, lontano dalle vetrine e dai riflettori.
Non
chiamiamoli eroi, martiri o paladini perché non hanno fatto nulla di eroico, di
nobile e glorioso. Anzi!
Accontentiamoci
per il momento di esibire i nostri marinai, valvole della nostra usurata
coscienza, sui giornali, nei salotti e negli studi televisivi, per magari
candidarli alle elezioni in un prossimo futuro, perché ora, pur volendo, non
c’è più tempo.
Che
autentico peccato!
31
maggio 2016 (Alfredo Laurano)
Nessun commento:
Posta un commento