Quanto vale
la vita di un ragazzo di vent’anni?
Della lunga
soap-intervista di Franca Leosini ad un pentitissimo Antonio Ciontoli - in due
puntate, come appunto in una fiction della RAI - più che l’atteggiamento e la
conduzione della stessa nel sapere o voler adeguatamente incalzare il
reo-confesso, con sufficiente capacità graffiante e spietatezza giornalistica,
credo conti il senso, il perché, del confronto stesso. Al di là delle scelte
televisive, di montaggio e di regia, o delle esigenze di cassa, di copione e di
interesse pubblico.
Come
prevedibile, non si è scoperto nulla di nuovo, non è cambiata una virgola o una
dichiarazione che già non conoscevamo, che non abbiamo già visto e rivisto,
sentito e risentito, fino alla nausea, in questi quattro abbondanti anni, in
tutte le udienze, le ricostruzioni, le linee di difesa, le bugie, le ipotesi e
altre interviste inutili.
Allora, in
attesa della Cassazione, che si pronuncerà il prossimo 7 febbraio - anche alla
luce delle recenti azioni della Procura, che ha sentito nuovi testimoni
(Vannicola) e nuovi indagati (maresciallo Izzo) - qual è stato lo scopo del
programma, ovviamente concordato e scelto dai legali della famiglia omicida?
Il
significato appare piuttosto chiaro ed evidente: smentire le ultime
testimonianze e insinuazioni che hanno sconvolto la piazza e la pubblica
opinione e ribadire che l’unico a sparare è stato il solo Antonio capo clan. Il
figlio Federico non c’entra nulla e chi sostiene il contrario mente o è un
visionario.
E la RAI
pubblica l’ha consentito. Ha condiviso questa scelta, ha concesso questa
ulteriore possibilità di difesa.
Cioè, ha
rilanciato e amplificato la stessa linea, la stessa versione dei fatti, le
stesse fantasiose affermazioni udite nel processo, che hanno portato, in
appello, a una condanna lieve e inadeguata, ridicola e irrisoria, che potrebbe
scendere ancora nella sua effettiva irrogazione.
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