Quando si parla di dolore e sofferenza, che
non vivi direttamente sulla tua propria pelle, una profonda commozione ti
prende dentro e da vicino e ti impedisce di capire a fondo quel desiderio di
farla finita, di arrendersi al maligno nemico, di chiedere aiuto per lasciare
una vita che ormai è solo inferno. Un po’ come accade per il bene, o con lo
stato di felicità e di gioia, che non puoi conoscere se non lo provi o non sai
cos’è.
E’ sempre difficile trovare una serenità di
giudizio e la giusta condizione dello spirito per esprimersi sull’eutanasia e
sul diritto a scegliere di vivere o morire e, soprattutto, assumere una
posizione convinta e definita, del tutto laica e non condizionata da parametri
sociali, valutazioni ideologiche, morali o religiose. E che, comunque, per non
essere obbligo o privilegio, o qualcosa di illegale e clandestino, deve essere
regolamentata dalla legge.
Morire come necessità, come scelta libera e
consapevole, sembra innaturale.
Come si fa a riflettere con asettica
razionalità, senza alcun coinvolgimento emotivo e sentimentale, su un tema così
grande, così intimo, così delicato e personale, che sembra assai lontano e
avulso da quello della semplice quotidianità che definiamo normale?
Ti assale l’ansia e l’inquietudine, un nodo
in gola ti blocca le funzioni logiche e la coscienza si tormenta, trovandosi
senz’armi a combattere, con impossibile obiettività, contro i misteri del mondo
e dell’esistenza.
Fabiano, detto Fabo, aveva appena compiuto
40 anni, era cieco e tetraplegico e desiderava porre fine a una vita che non
aveva scelto, "immobilizzato in una
lunga notte senza fine", in seguito a un grave incidente stradale.
Prima, era un giovane come tanti, pieno di vita, di gioia e di passioni e
faceva musica.
Dopo anni di inutili terapie, aveva chiesto
che le Istituzioni intervenissero per regolamentare l'eutanasia e permettere a
ciascun individuo di essere libero di scegliere fino alla fine.
Era lucido e cosciente che non vi fossero
possibilità di guarigione.
Una situazione terribile per una persona
con un cervello sanissimo in un guscio vuoto, che non ha più un'autonomia,
attaccato a una macchina per respirare e a un ventilatore per poter appena
parlare, anche con qualche accenno d’ironia. Ma che non poteva nemmeno
grattarsi il mento o un centimetro di pelle.
Quando la malattia ti consuma e offende nel
corpo, ti umilia anche nella tua dignità di persona e l’anima rimane mutilata e
spenta.
Un’agonia senza fine che “viveva” nella
consapevolezza di essere un peso intollerabile per chi gli stava accanto e
ostaggio di un corpo immobile che era diventato "una prigione
infame", da cui, da poche ore, è evaso.
Ora, il suo inferno è finito, sia pure in
un luogo diverso dalla sua casa e dal suo Paese, ma in grado di dargli
un’ultima, consapevole possibilità di scelta.
Qual è il significato della parola vita?
In verità non lo sappiamo, ma per
convenzione diciamo che è uguale a esistere, amare, mangiare, volere, fare,
lavorare, scegliere, decidere. Pensiamo di essere padroni di noi stessi, del
nostro corpo e del nostro destino, di nutrire speranze e desideri e non solo
dolore e disperazione.
Ma era vita quella di Eluana Englaro,
rimasta in stato vegetale per diciassette anni, o quella di Welby a lungo
attaccato a un respiratore e finalmente aiutato a morire dal suo medico che
dice: "non fu eutanasia, solo
desistenza terapeutica"?
Può esistere il diritto di rifiutare le
cure, l’accanimento terapeutico e di lasciarsi morire, considerando quella in
cui ci si trova una situazione di non vita, al di qua della soglia biologica e
svuotata di ogni valore o significato?
O bisogna scegliere la solitudine e la
violenza di chi, come Lizzani o Monicelli, si è ritrovato costretto a gettarsi
nel vuoto da un balcone o come Lucio Magri, andato anche lui in Svizzera con le
sue gambe a farsi suicidare a pagamento?
A queste domande non so rispondere, non ho
la presunzione di avere una certezza, tantomeno ideologica, ma solo la speranza
di non dover essere mai costretto a farlo.
27 febbraio 2017 (Alfredo Laurano)
Forse per l'eutanasia si ripeterà quanto
già avvenuto con l'aborto.
Sarà legalizzata anche in Italia per evitare che chi
può possa andare a morire in modo umano all'estero, dove non c’è il divieto
della Chiesa.
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