Tra i tanti fenomeni che, negli ultimi anni,
i Social hanno creato e, a volte, esageratamente scatenato, ci sono certamente
i Gruppi, aperti o chiusi, di ogni genere e materia, formati da appassionati o
sostenitori, uniti dallo stesso comune interesse o per lo stesso scopo.
Come, peraltro, le Confraternite, le
Accademie e i Blog personali, più o meno di settore o specializzati in temi:
arte, filosofia, storia, poesia, musica, pittura, informazione, critica,
cinema, collezioni, cucina e baccalà.
Sono i nuovi circoli virtuali che ricordano
quelli reali di una volta, letterari, artistici, politici o ricreativi, dove si
passava il tempo discutendo di idee, di fatti e di programmi o, semplicemente,
giocando a carte, fumando sigari o prendendo un the.
A volte, in alcuni, di questi Gruppi
pubblici vi si leggono commenti e vivaci scambi di pensiero, intelligenti,
colorite e anche interessanti note, velate di ironia, di stima, di affetto e di
razionale concretezza.
In altri, che spesso travalicano il loro
ruolo sociale, non si può fare a meno di cogliere, con crescente stupore, per
non dire orrore, dialoghi e confronti al limite dell’insulto, della prepotenza,
del settarismo. Soprattutto in quelli che, nati per promuovere solidarietà e
vicinanza a chi è colpito da una tragedia e per chiedere giustizia e verità,
finiscono per essere un manipolo di attacco alla magistratura, lenta, iniqua ed
incapace.
La loro intransigenza è carica di responsabilità,
non solo morali, nei confronti di vittime e familiari, da indurre forme di
odio, di rappresaglia e di vendetta, come, di recente, è accaduto a Vasto.
In certi grotteschi casi, nella spirale di
imprevedibili dinamiche, si scoprono surreali e a volte comici interventi di
chi, in apparenza, è prodigo di buone parole, di consigli mai richiesti, di
veleni, derisioni e accuse a mezza bocca, di goffe insinuazioni e avvertimenti
un po’ mafiosi… “perché ti voglio bene”, “un giorno ti dirò”, “occhio, il
nemico ti ascolta!”
Quelle comunità, già animate dalle migliori
intenzioni, che predicavano valori e buoni sentimenti, diventano, via via,
sempre più simili a inedite sette ideologiche, farcite di seguaci faziosi e
intransigenti, al cui credo, universale e dominante, tutti si devono allineare e
non dissentire mai, se non vogliono essere cacciati. Bande insensate, inflessibili
comitati di pseudo potere marginale, dove regnano omologazione, sfacciata
ignoranza e fanatismo, fino al rischio inconsapevole di pericoloso
integralismo, di tipo religioso.
In quelle pagine, col tempo, si avverte
chiaramente la mancanza di proposte illuminanti.
Si coglie la difficoltà di andare avanti,
il ristagno di stimoli e di argomenti nuovi e originali, l’obbligo morale di
scrivere, a tutti i costi e ogni giorno, una cazzata inutile e melensa, pur di
testimoniare un ruolo attivo o una presenza.
Questa forma di stanchezza, di fatto,
accresce la tensione interna, accende il malanimo e l’animosità e provoca
invidia e rivalità.
Quando proprio non si riesce a partorire
niente, arriva un ficcante buongiorno o una rinfrancante buonanotte a tutto il
gruppo, ai genitori, parenti e a quanti di passaggio, con tanto di cuoricini
intermittenti al seguito. Così, tanto per farsi un po’ notare!
Fra tanta noia e banalità, comunque, si
persevera in un logorante esercizio retorico fatto di frasi e citazioni
scontate ed abusate, di slogan e pensierini sempre uguali, catturati alla fiera
dell’ovvietà, di cuori palpitanti, di fiori, mari, tramonti, effetti
lampeggianti di tipo natalizio. Senza dimenticare cristi e madonne piangenti
d’ogni tipo e nazionalità, padri pii esausti e intere colonie di angeli
sognanti, mani protese o chiuse in intima preghiera.
Tante pallide icone pret a porter, di
rapido consumo e fatte in casa, ma poco vicine alla sacralità e all’intima
religiosità di ciascuno.
Un caleidoscopio intriso di forte emotività
e di partecipazione a un ideale immaginario collettivo, condito e garantito da
un marchio d’autore e qualità, in cui ci si identifica: “io sono…”, seguito dal
nome della vittima. Una specie di parola d’ordine che ogni brava sentinella di
quella rigida caserma deve pronunciare, per fedeltà e per non essere sparata o
consegnata in branda.
Poi, per proseguire nei sentieri
dell’autentico delirio, tra i cunicoli sotterranei dell’ossessione
psicopatologica, c’è pure chi si inventa strani e inconcepibili vuoti esistenziali
e animistiche presenze: “non ci sei, il
tuo corpo non è con noi ma la tua anima scorre nei nostri cuori…sei pura
energia, non è solo il tuo sorriso o il tuo sguardo ...c'è qualcosa, di
straordinario, non tangibile... si sente la tua presenza e la tua assenza...
sei sempre ovunque e sprigioni solo positività…mi manchi quando cammino, quando
dipingo, quando dormo e quando faccio merendina…”
Manco ci fosse (stato) un rapporto
familiare, d’amicizia, di frequentazione o di reale conoscenza con la vittima
lì onorata e con amore ricordata.
Nemmeno i noti sensitivi Rosemary Altea o Craig
Warwick, che vedono e trattano con angeli e defunti, speculando sulle disgrazie
altrui, potrebbero fare o dire meglio!
Siamo entrati incautamente nel pittoresco
mondo del paranormale, della metafisica umorale dei bisogni e delle pene,
all’interno di un pianeta primitivo e alieno, dove la cultura medianica di
fenomeni e misteri, appare più incredibile e patetica, che folclorica e
ridicola.
Esiste, in realtà, un modo diverso, più
efficace, più sano e più giusto per esprimere solidarietà: essere solidali
significa partecipare, essere sensibili e altruisti, disposti ad assistere e ad
aiutare gli altri in difficoltà, superando paure, egoismo e indifferenza, senza
chiedere o aspettarsi nulla in cambio.
E’ un valore antico e senza tempo, un
rapporto di fratellanza e di reciproco sostegno che collega gli uomini,
consapevoli di appartenere alla stessa società e di avere obiettivi comuni, con
dignità, ma senza manie di protagonismo.
Come fanno, per esempio, i volontari,
sempre pronti al sacrificio e all’emergenza.
25 febbraio 2017 (Alfredo Laurano)
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