Caro Marchionne, caro Renzi – suo
indissolubile amico che ora indossa pure lo stesso maglioncino blu – quante
volte andate in bagno, senza chiedere permesso a qualcuno?
Vi è mai capitato che qualcuno ve lo
impedisse e vi costringesse a farvela nei calzoni?
Non è una barzelletta, una facezia o
una battuta di spirito, non è una provocazione.
Ma, fare pipì non è più solo un normale
bisogno fisiologico, è un rinnovato privilegio che non tutti e non sempre possono
condividere, come accadeva nell’Ottocento, come all’epoca degli schiavi e dei
padroni.
Sono cose che pensavamo appartenessero
alla fase primitiva dello sfruttamento della forza lavoro da parte di un
capitale avido e disumano, come ci ha ricordato Marx.
C’è poco da stupirsi, ma molto da
riflettere.
Non puoi andare in bagno, non quando ti
pare, non quando ti scappa. Da contratto, da regolamento, non è un diritto, ma
una concessione.
Così, alla grande fabbrica
metalmeccanica Sevel (Fiat Chrysler) di Atessa, in provincia di Chieti, un
operaio, che aveva a più riprese richiesto di poter andare in bagno, è stato
costretto a farsela addosso, perché gli è stato impedito di assentarsi dalla
catena di montaggio. Tieni, tieni, stringi, stringi, alla fine ha dovuto
zampillare nei pantaloni.
Sembra un fatto uscito dalle cronaca di
due secoli fa o dalle pagine di un romanzo neo-classico o romantico, invece è successo
qualche giorno fa.
Al di là degli aspetti comici e
grotteschi, quanto accaduto varca ogni limite della decenza, è un episodio
gravissimo che lede la dignità della persona, umiliandola come uomo e come
lavoratore, insieme a quella di tutti i lavoratori in generale.
Molte le proteste e le reazioni di
partiti e sindacati che denunciano l’incremento di ritmi e carichi di lavoro al
limite del sostenibile, cui si assiste da molti anni nel gruppo FCA.
Troppo spesso gli aumenti di
produttività sono salutati come un fatto positivo, senza chiedersi come siano
possibili, ogni anno, a livello di record.
Nei giorni scorsi, alla luce di questa
paradossale vivenda, è arrivata una parte di risposta, a palese manifestazione
delle condizioni che i lavoratori, loro malgrado, sono troppo spesso costretti
a subire. L’arroganza padronale sostiene che la produzione viene prima di tutto
e perciò i lavoratori non possono permettersi nemmeno il lusso di espletare
bisogni fisiologici, normali per qualsiasi essere umano.
Serve recuperare e riportare una nuova
ventata di democrazia reale dentro e fuori le fabbriche per contrastare questa
forma di totalitarismo aziendale, che è il prodotto di anni di riforme del
lavoro che hanno sottratto ai lavoratori diritti, tutele e accordi sindacali
capestro, fino alla cancellazione dell'art.18.
Per questo, la vicenda non può essere
sottovalutata, anzi ricompresa in un’analisi più vasta dello stato delle cose.
Pause sempre più ridotte, straordinario
di fatto obbligatorio il sabato, usato come ricatto nei confronti dei precari
con contratti a termine da riconfermare, contrattazione praticamente abolita,
tutela della salubrità e sicurezza dei luoghi di lavoro, sacrificata al
profitto degli imprenditori, e libertà di licenziamento: sono le conseguenze
della globalizzazione e delle scelte governative che pesano sulla testa dei
lavoratori, che hanno imposto la cancellazione dei diritti in un sistema quasi
feudale.
Alla faccia dell'uguaglianza e delle
nome sancite dalla costituzione.
17 febbraio 2017 (Alfredo Laurano)
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