Con
“C'era una volta Studio Uno”, la RAI
si celebra con la dovuta sobrietà e si racconta in uno spicchio della sua
storia, anche a beneficio di chi non ha vissuto quel periodo e l’epopea dei
primi varietà della TV in bianco e nero.
C’è
il ritratto di un’epoca, dell’Italia degli anni sessanta, che sogna in grande e
guarda al domani, fra costume e crescita sociale, in questa breve fiction, dove
vicende umane e personali si intrecciano con scelte e intuizioni creative di
una giovane televisione, nata da pochissimi anni, che asseconderà e aiuterà lo
sviluppo culturale del Paese.
Una
TV, ancora artigianale e un po’ bigotta, fatta e vissuta con passione, con cura
maniacale, dai costumi alle scenografie, che svela anche i segreti del dietro
le quinte, degli antagonismi e dei contrasti di potere, delle ambizioni, dei
capricci, delle invidie e delle gelosie.
Che riflette ipocrisie e
contraddizioni, anche morali, di un Paese in divenire e rappresenta gli
italiani del momento, indagati con la dovuta attenzione, anche attraverso il
puntuale Servizio opinioni e gradimento.
Adeguate
e realistiche le ricostruzioni ambientali, gli arredi di set, uffici e di
abitazioni, l’uso di oggetti e mezzi originali di ripresa, oggi da museo.
La
linea narrativa è semplice ma efficace, diluita con originali immagini di
repertorio e con il Dadaumpa che fa
da filo musicale conduttore.
Insieme
a Canzonissima e a Fantastico, Studio Uno, andato in onda
tra il 1961 e il 1966 e ideato da colonne come Antonello Falqui e Guido
Sacerdote, è stato probabilmente uno dei varietà più popolari e innovativi della
storia della televisione italiana.
La
scenografia, inventata dagli autori, era semplice ed essenziale e vedeva in
campo strumenti da studio - da cui prendeva il nome - come telecamere, carrelli
e giraffe: qualcosa di originale e minimalista per quei tempi.
Per
chi, come il sottoscritto, ha conosciuto e ricorda quei momenti, con una certa
nostalgia, legata ai tempi e alle sensazioni dell’adolescenza, è un vero tuffo
nel passato. Tornano subito in mente due miti dell’epoca, legati a quel
programma.
Il
primo, le gemelle Kessler, per la prima volta in Italia, che, per vederle da vicino, in tutto il loro splendore
e la loro statura, aspettavamo in gruppo e a lungo davanti ai cancelli di via
Teulada. Erano maestose, affascinanti, belle e gentili con tutti. Sorridevano
sempre e firmavano autografi, dediche e fotografie.
Scombussolavano gli ormoni
e alimentavano le nostre fantasie giovanili.
L’altro, era Mina, la più grande cantante
italiana di tutti i tempi, dalla voce duttile ed espressiva, dal timbro caldo e
inconfondibile, dotata di grande ampiezza, estensione e capace di incredibili
virtuosismi. Forse, a causa del suo prematuro addio alle scene nel 1978,
abbiamo un po’ tutti dimenticato la quantità e la qualità di ciò che ha
prodotto e cantato, le sue indimenticabili interpretazioni - oggi, e da allora,
solo su disco e in sala d’incisione - e i milioni di dischi venduti nel mondo.
Invito a rileggere la sua biografia, anche
negli aspetti più privati e familiari, per riscoprire un vero pezzo,
leggendario e senza tempo, della storia della musica.
Molti
i personaggi passati sotto i riflettori di quel mitico show, vere icone del
momento: da Don Lurio alle trasgressive gemelle tedesche in calzamaglia nera,
da Lelio Luttazzi a Walter Chiari, dalla coppia Mondaini - Vianello a Rita
Pavone.
Ma
la regina indiscussa fu proprio la tigre di Cremona che condusse tre edizioni
del programma e si esibì in un repertorio straordinario, affiancata, a volte,
in duetti rimasti celebri, da Alberto Lupo, da Totò e da Alberto Sordi.
Era
un’Italia in buona fede, genuina e non sofisticata, raccontata dai
ventiquattromila baci di Celentano, dal geghegè di Rita Pavone e dalle mille
bolle blu di Mina.
Era
il mondo incerto dei desideri realizzati e infranti e delle magiche atmosfere che
il piccolo schermo, entrato ormai in tutte le case, faceva sognare
nell’immaginario collettivo, non ancora contraffatto e adulterato.
Era
un anticipo di imprevedibile futuro.
15
febbraio 2017 (Alfredo Laurano)
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