Il web è democrazia, è una tribuna a cui
tutti - anche i truffatori, i malintenzionati, i cazzari, gli esibizionisti,
gli ignoranti, gli odiatori di professione e i cosiddetti "webeti",
hanno liberamente accesso. E’ un infinito palcoscenico anche per imbecilli di
professione che, intendiamoci, non sono nati coi social network - esistevano
anche prima - solo che non avevano gli strumenti per raggiungere la ribalta e
sbandierare al mondo la propria miseria intellettuale.
Un
tempo gli ignoranti non ignoravano di essere tali e perciò si sforzavano di
porci rimedio - studiando, informandosi, documentandosi, con lodevole umiltà -
o almeno se ne stavano in silenzio quando la discussione si faceva proibitiva e
affrontava argomenti su cui sapevano di non poter dire nulla di sensato.
Adesso,
siamo ben oltre l’incredibile, siamo alle soglie del delirio: gli ignoranti
ignorano anche di essere ignoranti e pensano che la prima buiaccata che gli
viene in mente possa assurgere agli onori del mondo. Senza pudore alcuno.
Gli utenti di Internet oggi, in tutto il
mondo, sono quasi 3,5 miliardi di persone, gli utenti di Facebook hanno
superato 1,7 miliardi e quelli di Twitter sono oltre 306 milioni.
Tutti possono dire tutto, quindi, dalle
più complesse teorie scientifiche o filosofiche alle varie scelte di
aberrazione e degrado, dall’istigazione alla violenza, alle minacce e alle
pratiche pedofile, fino a ogni tipo di speculazione, manipolazione,
mistificazione e, non ultima, alla contemplazione dell’ordinario banale
quotidiano.
Il tradizionale e innocuo scemo del
villaggio di una volta si è trasformato in citrullo telematico, il cui raglio
spesso procura gravi danni non solo alla comunità virtuale: per questo, va
individuato ed emarginato come pericoloso nuovo scemo del nuovo villaggio
globale, che opera in una dimensione sconfinata.
Qualcuno invoca una qualche
regolamentazione, una forma di controllo - cosa che già avviene in alcuni Paesi
non proprio votati alla democrazia - ma non è vero che la libertà online non
abbia regole.
Intanto, esiste una netiquette, il galateo
di internet, cioè di quell’ insieme di regole che disciplinano il comportamento
di un utente nel rapportarsi agli altri utenti, attraverso siti, pagine, forum
e blog, con rispetto, educazione e non come barbari incivili, anche se, troppo
spesso, questa essenziale esigenza di bon ton viene ignorata e quel fantastico
strumento di scambio si svilisce e diventa sfogatoio di pulsioni o vetrina di
odiosi pregiudizi.
E poi, le regole sono le stesse identiche
che limitano ogni altra libertà offline: la libertà di ciascuno, anche in Rete,
finisce dove inizia quella dell’altro e le leggi che ci sono già fissano
confini chiari e sicuri.
E vale anche per quelli che si illudono di
esistere postando gattini e paperelle, melensi slogan d’amore e d’amicizia,
aforismi scontati e ritriti, foto di vacanze e di cucina, massime da catechismo
elementare, odiosi commenti carichi di odio e rancore, che svelano perverse
frustrazioni o bassezze morali.
E’ inevitabile che in tale universo di
libera anarchia, spesso prevalgano i peggiori sentimenti della bestia umana.
Anche perché schermata e apparentemente protetta dal paravento dell’anonimato.
Plotoni di cecchini digitali sparano cazzate a raffica, pensando di essere al
riparo e invisibili.
Ed è altrettanto normale che, come da
tempo pensiamo in molti, in Rete circoli più spazzatura che informazione, più
odio che solidarietà, più ignoranza che intelligenza, più razzisti e nazisti
che democratici: il bello o il brutto o il paradossale è che anche uno come
Sallusti - che di spazzatura se ne intende assai - lo sostenga.
Ma
ci sono, per disgrazia o per fortuna, anche quelli che, con un insopportabile
neologismo e con non poco disprezzo, vengono definiti la novella “razza” a
parte dei buonisti - termine inventato dalla stampa e dagli intolleranti
cattivisti, che ormai lo usano come insulto -che magari provano a ragionare.
La
Rete consente che pensieri comuni, falsità e opinioni volgari e impopolari
possano viaggiare, senza biglietto e senza pagare pegno, fino alla stazione del
dialogo e della ragione, fino al delta della popolarità. Consente a chiunque di
mettersi alla guida di una crociata d’odio e integralista. Consente
l’orientamento, la diffusione e la propaganda, fino a convincere molte fette di
variegata umanità che quel che di virtuale si costruisce e si elabora su
Internet, sia altrettanto vero e valga per la l’intera popolazione reale della
terra. Una doppia dimensione che poi si sovrappone.
Tutte le opinioni meritano rispetto ma,
prima di impugnare il mouse e la tastiera, ognuno dovrebbe domandarsi se e
quanto sia legittimo o nocivo il proprio pensiero e quale effetto produrrà
sugli altri che, spesso, ne rimangono colpiti.
E’ vero che Internet ci dà un sacco di
possibilità di informazione, di conoscenza e di crescita culturale, ma è anche
vero che troppo spesso non ne cogliamo nessuna.
Internet sta rimbecillendo le persone: uno
scrive una cavolata o condivide una bufala su Facebook - dove a copiose mandrie
galoppano assai velocemente - e tutti la ripetono, senza che nessuno ne
verifichi la veridicità, i fatti e le fonti.
I social hanno oggettivamente assunto uno
strapotere sociale, economico, e culturale. Hanno modificato le nostre
abitudini personali, intime, relazionali e commerciali, hanno condizionato le
nostre scelte.
Tutti possono sapere cos’ho mangiato oggi,
se sono andato al mare, se ho visto un film, se ho mal di pancia o se sono
triste, incazzato o innamorato. Hanno cambiato il mondo stesso della comunicazione:
siamo arrivati a leggere le notizie, non più sui giornali, ma su Facebook, dove
poi diventano virali, in una grande piazza
virtuale che vende frutta, verdura e scampoli di pensiero.
Sono molto più della televisione, molto
più potenti e pervasivi, ci seguono dappertutto, li portiamo in tasca. Gli
argomenti che ci sottopone Facebook sono tagliati su misura per noi, che
restiamo succubi di un flusso di notizie non più scelto da noi, bensì da un
algoritmo.
Il grave rischio, per adolescenti e per
adulti fragili e immaturi, è che tutto questo crei schiavi delle tastiere, crei
dipendenze e consenso mainstream, spersonalizzando
i rapporti umani, che si annacquano in una falsa socialità virtuale che
radicalizza ideologie e pregiudizi, all'interno di recinti sociali
incomunicanti e privi di confronti.
Il mondo del virtuale non può e non deve
fagocitare o sostituire quello reale.
Più che di limiti, normative o
restrizioni, chi lo abita e lo percorre in lungo e in largo ha bisogno di
consapevolezza e autoregolamentazione, di reciproco rispetto, di educazione, di
equilibrio e di consumo critico e moderato. Di una modica quantità da assumere
in opportune dosi, per la crescita e la salute culturale, senza mai arrivare
alla dipendenza o all’overdose.
Persone, cose e sentimenti vivono nell’
altra dimensione.
13 settembre 2016 (Alfredo Laurano)
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