L’estate sta finendo e, forse per questo,
affiorano ricordi e sensazioni.
Generalmente, avevano una porta, un tetto, le
pareti a doghe, una piccola verandina e, all’interno, una panchina e un
attaccapanni.
Erano e, in parte, sono ancora, le cabine da mare. Strutture
che somigliano a delle casette in legno, che un tempo erano utilizzate per
spogliarsi degli abiti di città e per indossare zoccoli e costume da bagno:
castigato e intero per le donne, ascellare, di lanetta o di spugna, a vita
alta, per uomini e ragazzi.
Quand'ero bambino, vi si lasciavano
giocattoli, palette, secchielli e ciambelle colorate, nonché borse, asciugamani
e le preziose cose da mangiare.
Poi, si usciva da quella casetta, si giocava
sotto l’ombrellone, si correva sulla sabbia infuocata e si faceva il
bagno…senza allontanarsi troppo!
Il “costumino” fantozziano, una volta usciti dall'acqua, pesava tre o quattro chili, sgocciolava per un’ora e, dato
l’elastico precario, il cavallo arrivava alle ginocchia.
Quando scoccava l’ora del mangiare, si
tornava nella fresca cabina, si apparecchiava il tavolino e si divorava tutto:
cannolicchi al pomodoro, frittata, parmigiana, pomodori al riso, tonno, patate,
fagiolini e cocomero insabbiato. Perché il mare mette fame, si diceva allora!
Subito dopo, il riposino sulla sdraio sotto
l’ombrellone o sulla fresca verandina.
Dopo la pennichella, i grandi giocavano a
carte, i giovani ballavano e rimorchiavano al suono del Jukebox, i piccoli
guardavano e succhiavano un ghiacciolo.
Le cabine non hanno avuto sempre la stessa
forma e in un lontano periodo storico hanno avuto addirittura le ruote. Cento
anni fa si chiamavo bathing machine, le macchine da bagno. Potevano essere tutta di legno, oppure chiuse con una tenda.
Inventata nel Kent, già alla metà del
Settecento, quando il costume da bagno non esisteva e i pochi che andavano in
vacanza si tuffavano al largo nudi, la macchina da bagno ebbe il suo boom un
po' più tardi, in epoca vittoriana, quando anche il nascente fenomeno della
villeggiatura borghese e popolare si accompagnava ad una rigida castigatezza
nei costumi, non solo da bagno.
Una
volta arrivati in spiaggia, i bagnanti entravano in cabina e indossavano il
costume; la "macchina" veniva poi trascinata in acqua da un addetto.
Qui, a una certa distanza dalla spiaggia, ci si poteva finalmente immergere,
senza essere visti e senza fare passerella sul bagnasciuga, come richiedeva il
galateo balneare dell’epoca.
Oggi, salvo quelle trasformate in piccoli resort in stabilimenti di
prestigio, le cabine hanno quasi esaurito la loro funzione: ci si spoglia sulla
spiaggia o in macchina e si arriva già in costume, si mangia al ristorantino o
un panino sotto l’ombrellone e ci si rosola al sole fino all'ustione, come prevede
l’attuale moda dell’abbronzatura.
Potrà sembrare strano, ma la cabina ha
comunque rappresentato un’epoca, un pezzo di storia di costume e società, ben
raccontato anche dal nostro cinema.
Ricordate “Una domenica d’agosto”, di Luciano
Emmer, ambientato sulla spiaggia di Ostia, nel 1950, e “Il Casotto, di Franco
Citti, del 1977?
Due
diverse commedie corali, brillanti, ironiche e drammatiche, dove si riflette
una parte di mondo e di condizione quotidiana; dove entrano e escono variegate
gallerie di personaggi, ognuno con desideri, ansie, speranze e delusioni, in
rappresentanza di uno spaccato di umanità.
(Alfredo Laurano)
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