Si, facciamoci del male. Raggi di sole,
di luci e di ombre filtrano nella tragicommedia che si sta recitando nel teatrino Giulio Cesare di Roma Capitale.
Tra
dimissioni eccellenti, assessore indagate ma insostituibili e protette,
amministratori delegati che, appena nominati, lasciano le aziende; tra mezze
bugie e mezze verità, tra capacità e debolezze, in un profluvio di passi falsi,
omissioni in presunta buona fede e sbandamenti verbali e decisionali.
Come, del
resto, la stessa Giunta fatta in casa, e molto fuori casa, all’ultimo momento e
solo dopo la proclamazione, senza preavviso, senza uno straccio di studio o
valutazione preventiva.
Come se amministrare Roma
fosse una occasionale passeggiata di salute, tra corvi, civette, gufi e
menagrami, appollaiati tra gli alberi e i palazzi.
Norma Rangeri osserva giustamente
che il Campidoglio oggi rappresenta un luogo nel quale si incrociano e si
scontrano i vecchi politicanti e gli ultimi arrivati, gli interessi affaristici
di ieri e quelli di domani, e dove, in parte, viene messa alla prova la
capacità del “nuovo che avanza” di misurarsi con problemi amministrativi seri e
di dimostrare di essere pronto a governare l’intero Paese.
Tutto sembra permeato di pressapochismo,
dilettantismo, superficialità e di un certo, incontrollato masochismo. Come un
copione difficile e impegnativo, interpretato da una compagnia sperimentale e
amatoriale, costituita da attori improvvisati e inesperti.
Da una parte, c’è la
rabbiosa reazione del PD che, dopo la sconfitta - per sua sola responsabilità,
avendo costretto Marino alle dimissioni - vuole la rivincita e cerca di
affossare la sindaca Raggi, accusando i CinqueStelle di essere incapaci di governare,
inadeguati e bugiardi per screditarli agli occhi dell’opinione pubblica che li
ha votati e voluti.
E’ normale che chi ha perso
le elezioni si attrezzi per fare opposizione, giocando anche sporco, ma con
tutti i mezzi leciti a disposizione.
Ma il Pd di Roma non può
permettersi di dare lezioni, visto il disastro provocato con mafia-capitale,
con un terzo del partito inquinato, con le indecorose dimissioni individuali
dal notaio per cacciare Marino.
Se adesso è necessaria una straordinaria
opera di pulizia e palingenesi, buona parte della colpa è proprio sua.
Dall’altra, i vincitori stellati stanno facendo di tutto
per deludere gran parte del proprio elettorato
e anche chi, pur non avendoli votati si è messo in fiduciosa attesa per
vedere i risultati della lotta alla corruzione, ai privilegi e allo strapotere
della finanza, della difesa della Costituzione, della tutela dell’ambiente e
del lavoro: loro classici cavalli di battaglia.
L’esperienza si fa
amministrando, tuttavia, troppi errori si stanno accumulando:
approssimazione,
superficialità, disattenzione, arroganza, lotte di potere interne al Movimento.
Con qualche scivolone di troppo che
contrasta nettamente con la loro breve storia e con i contenuti positivi della
loro battaglia politica, tali da farli apparire ed essere diversi dal resto
della classe dirigente. Vedi Parma, Quarto e Livorno.
Chi professa, mane e sera, onestà
e trasparenza, non può cadere in tentazioni inciuciatorie, non può cedere alle
fazioni, ai sotterfugi, alle furbizie e a tutto ciò che lo fa assomigliare
sempre di più alla famigerata Casta e sempre di meno ai cittadini.
Chi propugna una diversa
morale e insegue il bene comune deve essere coerente, non può rinnegare la
propria identità o usarla a corrente alternata. Soprattutto se aspira a
manovrare le leve di comando e di governo del Paese.
Deve essere come (Virginia) Pompea,
la moglie di Cesare, al di sopra di ogni sospetto.
Perciò, tutti aspettano
chiarezza, e non solo al Manifesto.
(Alfredo
Laurano)
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