Non tutti hanno le ali, non tutti le vogliono, non tutti
possono indossarle.
Ma
si possono scegliere.
In
questa sua terza opera, Gian Piero Ferri, compie un terzo viaggio nella
spiritualità, ma anche nell’amore, nei misteri del mondo e nei risvolti della
vita quotidiana.
In “In Die illa”, il bel viaggio si
realizza “ dove nascono le favole che poi prendono la forma delle nuvole e
assumono le mille forme dei pensieri”. Riflette sugli affetti, le passioni,
i fatti, le scelte e i desideri della propria vita, ripercorrendo i luoghi
dell’infanzia, della giovinezza, della maturità e della consapevolezza, tra le
brume della nostalgia e di qualche rimpianto.
In “Io sono Matteo”
indaga, tra i difficili meandri della teologia, il delicato rapporto tra le
cose divine e quelle umane e narra il suo cammino spirituale tra le impervie
vie dell’estasi mistica.
E realizza un secondo cammino alla ricerca dell’amore e del
mistero, tra dogma e fede, tra ragione e amicizia, tra gioia e dolore, ricordi
e paure.
Oggi, sceglie le ali
di Malia, che le contiene nel suo stesso nome.
E l’assonanza, forse, non
è casuale.
Quelle ali non sono solo simboli e metafore, sono strumenti di libertà e di rinascita. E si possono usare,
dicevo, per viaggiare nel tempo, per volare in alto o all’interno dell’anima, così
come si sceglie, in premeditata antitesi, un ruolo ambiguo, una strada
perversa, una divisa prepotente, una corazza di cinismo.
Piccola e selvaggia, fiera e libera dalle catene di questa vita, Malia
si confronta con Ezebel, il suo spirito guida
- parte istintiva e irrazionale della sua coscienza - per realizzare il
suo destino.
Le sue ali non hanno materia -
come quelle di pietra dell’Essere Alato della leggenda, con cui giocava da
bambina - e per questo sono libere e leggere.
Con esse, “scappa” dalla sua età, danza, studia, prega, sogna, insegna e scrive.
Il carcere in cui noi viviamo è quello
della nostra condizione esistenziale, che ci tiene legati alle nostre radici.
Malia si allontana
dal passato, che soppianta il presente, si allontana tanto da poter scrutare il
futuro. E così visita il mondo.
Viaggia nel tempo,
dall’infanzia alla maternità, alla maturità, rimanendo nella doppia dimensione
del presente che ha il senso dell’infinito: spazio irreale, magico e immanente,
dove tutto scorre e si trasforma, dove tutto è mutevole come nel fiume di
Eraclito.
In cucina, Efre, Tonia, Malia,
Ilez e il cane Oppo, l’animale dal volto umano, bevono caffè e latte caldo,
come a condividere momenti preziosi dove l’amore sublima l’essenza delle vite
nel loro addivenire.
Nel sogno si
costruisce l’immaginario spirituale dell’autore, riaffiora la realtà, la trama
della vita prende forma e si rinnova nel passaggio dal rumore al silenzio della
riflessione. Nel silenzio si compie la creazione, nel silenzio Dio si manifesta
agli uomini.
Malia, vera voce
del suo pigmalione, ha scelto il bene.
Se l’animo umano
riesce ad ospitare tale sentimento, siamo nel segno della speranza e della
fiducia. Si dimentica il proprio io, si partecipa a qualcosa di più grande.
Infatti, dice a Ezebel: “Posso vivere ogni rapporto nella
consapevolezza che la persona che mi sta dinnanzi con il suo gesto o il suo
pensiero mi offra doni di vita per crescere. Anche se la persona è diversa da
me, anche se pensa in modo opposto, per assurdo, anche se mi odia, posso vivere
quella situazione in modo positivo, se mi affido, cioè se mi apro all’azione di
Dio.”
Qui, forse, nell’epilogo, si definisce il messaggio più
autentico e significativo che Ferri ci propone: se assumiamo un atteggiamento di fiducia riusciamo a scoprire
forme nuove di
umanità e di fraternità, prima mai realizzate. Possiamo far fiorire forme di
perdono e di misericordia che non immaginiamo neppure: un continuo nascere e
morire, una nuova vita da vivere fino in
fondo, con tutte le essenze e i colori.
Trionfa l’ottimismo
della volontà (d’amare) sul gramsciano pessimismo della ragione.
Gian Piero Ferri ha scelto
le ali della spiritualità per volare nei cieli alti dei sani sentimenti e della
fede, in un difficile percorso di catarsi esistenziale, attraverso un racconto
fantastico, surreale, onirico, ma pieno di profonda umanità e di poesia che,
come i precedenti, si fa storia universale.
Forse tutti dovremmo
scrutare o cercare di scoprire sulle spalle quelle vaghe cicatrici di ali
nascenti o perdute che sono la misura del tempo e l’essenza della nostra
interiorità.
Ma che non siano fragili e
precarie come quelle di Icaro.
24 settembre 2016
(Alfredo Laurano)
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