domenica 25 settembre 2016

ALI DI FERRI

Non tutti hanno le ali, non tutti le vogliono, non tutti possono indossarle.
Ma si possono scegliere.
In questa sua terza opera, Gian Piero Ferri, compie un terzo viaggio nella spiritualità, ma anche nell’amore, nei misteri del mondo e nei risvolti della vita quotidiana.
In “In Die illa”, il bel viaggio si realizza “ dove nascono le favole che poi prendono la forma delle nuvole e assumono le mille forme dei pensieri”. Riflette sugli affetti, le passioni, i fatti, le scelte e i desideri della propria vita, ripercorrendo i luoghi dell’infanzia, della giovinezza, della maturità e della consapevolezza, tra le brume della nostalgia e di qualche rimpianto.
In “Io sono Matteo” indaga, tra i difficili meandri della teologia, il delicato rapporto tra le cose divine e quelle umane e narra il suo cammino spirituale tra le impervie vie dell’estasi mistica.
E realizza un secondo cammino alla ricerca dell’amore e del mistero, tra dogma e fede, tra ragione e amicizia, tra gioia e dolore, ricordi e paure.
Oggi, sceglie le ali di Malia, che le contiene nel suo stesso nome.
E  l’assonanza, forse, non è casuale.
Quelle ali non sono solo simboli e metafore, sono strumenti di libertà e di rinascita. E si possono usare, dicevo, per viaggiare nel tempo, per volare in alto o all’interno dell’anima, così come si sceglie, in premeditata antitesi, un ruolo ambiguo, una strada perversa, una divisa prepotente, una corazza di cinismo.

Piccola e selvaggia, fiera e libera dalle catene di questa vita, Malia si confronta con Ezebel, il suo spirito guida  - parte istintiva e irrazionale della sua coscienza - per realizzare il suo destino. 
Le sue ali non hanno materia - come quelle di pietra dell’Essere Alato della leggenda, con cui giocava da bambina - e per questo sono libere e leggere.
Con esse, scappa” dalla sua età, danza, studia, prega, sogna, insegna e scrive. 
Il carcere in cui noi viviamo è quello della nostra condizione esistenziale, che ci tiene legati alle nostre radici.
Malia si allontana dal passato, che soppianta il presente, si allontana tanto da poter scrutare il futuro. E così visita il mondo.
Viaggia nel tempo, dall’infanzia alla maternità, alla maturità, rimanendo nella doppia dimensione del presente che ha il senso dell’infinito: spazio irreale, magico e immanente, dove tutto scorre e si trasforma, dove tutto è mutevole come nel fiume di Eraclito.

In cucina, Efre, Tonia, Malia, Ilez e il cane Oppo, l’animale dal volto umano, bevono caffè e latte caldo, come a condividere momenti preziosi dove l’amore sublima l’essenza delle vite nel loro addivenire.
Nel sogno si costruisce l’immaginario spirituale dell’autore, riaffiora la realtà, la trama della vita prende forma e si rinnova nel passaggio dal rumore al silenzio della riflessione. Nel silenzio si compie la creazione, nel silenzio Dio si manifesta agli uomini.

Malia, vera voce del suo pigmalione, ha scelto il bene.
Se l’animo umano riesce ad ospitare tale sentimento, siamo nel segno della speranza e della fiducia. Si dimentica il proprio io, si partecipa a qualcosa di più grande.
Infatti, dice a Ezebel: “Posso vivere ogni rapporto nella consapevolezza che la persona che mi sta dinnanzi con il suo gesto o il suo pensiero mi offra doni di vita per crescere. Anche se la persona è diversa da me, anche se pensa in modo opposto, per assurdo, anche se mi odia, posso vivere quella situazione in modo positivo, se mi affido, cioè se mi apro all’azione di Dio.

Qui, forse,  nell’epilogo, si definisce il messaggio più autentico e significativo che Ferri ci propone: se assumiamo un atteggiamento di fiducia riusciamo a scoprire forme nuove di umanità e di fraternità, prima mai realizzate. Possiamo far fiorire forme di perdono e di misericordia che non immaginiamo neppure: un continuo nascere e morire, una nuova vita da  vivere fino in fondo, con tutte le essenze e i colori.
Trionfa l’ottimismo della volontà (d’amare) sul gramsciano pessimismo della ragione.

Gian Piero Ferri ha scelto le ali della spiritualità per volare nei cieli alti dei sani sentimenti e della fede, in un difficile percorso di catarsi esistenziale, attraverso un racconto fantastico, surreale, onirico, ma pieno di profonda umanità e di poesia che, come i precedenti, si fa storia universale.
Forse tutti dovremmo scrutare o cercare di scoprire sulle spalle quelle vaghe cicatrici di ali nascenti o perdute che sono la misura del tempo e l’essenza della nostra interiorità.
Ma che non siano fragili e precarie come quelle di Icaro.
24 settembre 2016 (Alfredo Laurano)


Nessun commento:

Posta un commento