Una mancetta di qua, una promessa di là,
un risparmietto di sopra, un altro po’ di quattordicesima ai pensionati alla
fame. Meno tasse, più flessibilità, giù Ires e Iri: tutto descritto a
pennarelli, con un trattino, un disegnino, un numeretto sulla lavagna cartacea
di Del Debbio.
Sono le priorità e le nuove promesse del
già detto “Patto della Lavagna” renziano, che ripropone in perfetta continuità
il berlusconiano Contratto con gli Italiani, di quindici anni fa, nel bianco
salottino vespiano.
Torna, quindi, l’annuncite, malattia
congenita del Puffo Premier, aggravata dallo spauracchio del referendum, ora
che, finalmente, ne è stata fissata la data, la più lontana possibile: il 4 dicembre prossimo.
Ma la botta di annuncite più imprevista e
più eclatante riguarda l’immaginifico
ponte del futuro o, meglio, sul suo futuro.
Nel 2012, diceva: "Gli otto miliardi
delPonte sullo Stretto li dessero alle scuole". Mentre il suo amico
Silvio Berlusconi prima ancora dichiarava: “prima di morire ho un sogno: attraversare
il Ponte sullo Stretto”.
Del resto, già Mussolini prometteva: “Dopo
la vittoria in guerra getterò un ponte sullo Stretto di Messina”.
Nel tempo, tutti o tanti, chi più chi
meno, si sono detti favorevoli, almeno una volta nella vita. Anche Craxi, anche
Andreotti, nel suo ambiguo dubbio democristiano.
Perfino Prodi, presidente dell’Iri, nel
1985, annunciò: “I lavori cominceranno al più presto. L’auto risparmierà 40
minuti, l’autocarro 35 e il treno 92”.
Un anno fa, lo riesumò il partito di
Alfano che impegnava il governo a mettere mano alle infrastrutture del
Mezzogiorno. Ai soliti dibattiti su costi, sprechi e possibili
corruzioni, seguì un onorevole silenzio.
O è una battuta o ci prende in giro - dice il sindaco di Messina - ma quale
Ponte? Qui abbiamo un sistema ferroviario da seconda guerra mondiale, a binario
unico, a gasolio. Sulla Messina/Catania è caduta una frana e l’autostrada è
ancora interrotta. Le due città non sono più collegate tra loro.
Messina è
stata settimane senz’acqua per i danni all’acquedotto.
Prima renda la Sicilia un posto civile, poi
magari inizi a fare questa chimera chiamata Ponte.”
Renzi, quindi, era contrario.
Ora, in vista del referendum, e per
contrastare i sondaggi che al Sud danno favorito il No, riciccia “l’opera da centomila posti di lavoro”. Una
di quelle promesse buone per creare aspettative - ricordiamo tutti le sparate
del milione di posti sui cartelloni sei per tre di Forza Italia - e per un
titolo di giornale.
Senza contare che - secondo i geologi - dove
si dovrebbero piazzare i pilastri c’è la faglia sismica più pericolosa del
Mediterraneo.
Nell’immaginario collettivo un nuovo ponte
è sempre un cosa positiva. Ma quest’opera dai costi enormi, sembra sorpassata
dalla storia e anche dall’economia.
Forse non è un caso che nessun privato sia
mai arrivato a metterci i quattrini. (Alfredo Laurano)
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