La lingua batte dove moda
vuole
La lingua cambia, sempre e in ogni tempo. Si
modifica, si trasforma, si adegua ai cambiamenti dell’uomo, della società, del
costume, delle scoperte scientifiche e tecnologiche, delle stesse tecniche di
comunicazione.
Con la differenza che, rispetto a ieri e fino
a inizio novecento, tali cambiamenti sono oggi popolari e riguardano tutti,
mentre una volta toccavano solo alcune élite di eruditi e intellettuali, come
era per lo studio ed il sapere stesso.
Ma non sempre si evolve e si migliora.
Nel vocabolario di una certa modernità,
nascono e si riproducono, quasi puntualmente, parole, espressioni, neologismi e
modi di dire che, per vari motivi, diventano di moda. Come un vino, una grappa
barricata, un abito firmato, un prezioso oggetto di mercato.
Spesso sono vere caricature semantiche,
storpiature, inciampi lessicali o inutili capricci tautologici che ci regala
l’omologazione dello scrivere come gli altri e l’ozio di pensare, a cui tutti,
o quasi, indulgono e si adeguano, non solo nell’uso comune e quotidiano. Una
corretta analisi filologica potrebbe aiutare a interpretare questi parti folli
e prematuri e a spiegare l’origine di tali aberrazioni del linguaggio. Ma non è
questa la sede adatta.
Ne parlavo giorni fa con una cara amica che
soffriva lo stesso linguistico tormento.
"Assolutamente sì”, “solare",
"pazzesco", l’inflazionatissimo “attimino”, "a 360 gradi",
"senza se e senza ma", "attenzionare", “buonista”, "di
ogni", "e quant'altro", "piuttosto che", “il fine
settimana”, l’Ochei a ogni esordio di discorso, “cioè” all’inizio di ogni
risposta, la pronuncia di "midia e sammit" (che trasforma in inglese
anche il latinorum) sono solo un breve campionario.
Sono espressioni orrende e frasi fatte prese
in prestito da nuovi prosatori - che qualcuno ha definito "cretini
cognitivi" - dal gergo politico, manageriale, dal marketing, dallo slang
giovanile e da volgari semplificazioni che prevedono di scrivere pure
"kasa, ekkome". Il tutto ripetuto da tutti all’infinito.
Le ho definite - forse esagerando, ma per
rendere l’idea - aborti semantici o blande forme di onanismo dialettico o di
incontinenza logorroica (come quando qualcuno si parla addosso) che rilasciano
una strana sensazione d’euforia letteraria.
Come se si fumassero l’erba del
vocabolario.
Che ci posso fare, dopo un po’ di ascolto o
di lettura di tali lirici versi, a me viene l’orticaria.
Gran parte della responsabilità è da
attribuire ai social network, ai telefonini, alla martellante pubblicità
commerciale che lava cellule e neuroni del cervello.
O all’ uso spregiudicato del Web, in
generale, capace di diffondere, con immediatezza e senza l’obbligo di cercare
un’origine o un perché, ogni trovata parolaia da spargere sul fertile terreno
dell'omologazione del linguaggio, anonimo e compulsivo.
E, ovviamente, senza ottenere il benestare
dell’Accademia della Crusca.
A volte, soprattutto nel comporre i milioni di pizzini digitali
di WhatsApp, molti ne fanno una questione di economia: scrivono “x” per dire
per, “cmq” per dire comunque, “6” per dire sei (verbo), “sn stnc” per dire sono
stanco, “tvb” per dire…questa è facile e non la dico.
Lo fanno per "risparmiare" un innocuo articolo (la),
una povera congiunzione o le inutili vocali, che possono esser abolite, usando
solo consonanti.Il congiuntivo si è quasi estinto o, al massimo, è una variabile impazzita.
E la punteggiatura? Cos’è? - domanderà
qualcuno.
Non esiste o è rarissima e casuale: non sia
mai, dovesse dare un senso a ciò che scrivo!
E, poi, non stiamo qui a “puntualizzare” !!??
“Melius deficiere quam abundare!”
Tanto per ribaltare la
nota sentenza latina: un articolo oggi, un aggettivo domani, una virgola
mai…risparmia oggi, risparmia domani...si ritrovano nel tempo un ricco
tesoretto d'ignoranza.
Non possiamo sputtanare pure Dante. Manzoni e
Leopardi, anche se viviamo in tempi di totale rottamazione!
Noi,
dicevo all' amica Gianna, senza presunzione, preferiamo restare poveri ma
linguisticamente belli! Almeno ci proviamo.
(Alfredo Laurano)
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