giovedì 8 maggio 2014

SA DI TAPPO - Memorie di un Sommelier

Anche se per colpa della crisi, molti italiani hanno rinunciato a un buon bicchiere - solo  uno su cinque beve vino tutti i giorni e quasi la metà non lo beve mai - resta fondamentale il ruolo sociale e di costume che il “nettare degli dei”, oltre ad essere un prezioso alimento da degustare per il piacere dei sensi e il conforto dell’anima, ha avuto ed ha nella vicenda umana.

Di vino si parla, si racconta, si canta e si discute da sempre.
Favorisce l’allegria, nobilita il banchetto e i piaceri conviviali.
Aiuta a confidarsi, a confessare amori, pene e verità.

Scioglie le chiacchiere, la lingua e dà coraggio.
Sin dai tempi più remoti, una tavola imbandita ed un buon bicchiere di vino hanno costituito fonte di gioia e di voglia di vivere. 
Si può dire, forse, che l’evoluzione sociale e civile dell'uomo è passata attraverso le tavole di ogni epoca.


La storia della vite e della sua “dolce ambrosia” si perde nei tempi lontani. Tra miti, leggende e verità.
Se ne parla nella Bibbia (è citato oltre 400 volte) e si narra di Noè viticoltore, dopo il diluvio universale.
Attraverso i Greci e i Fenici il vino si diffuse in tutto l’occidente e assunse un ruolo olimpico e centrale.
Era un dono di Dionisio (Dio del vino, Bacco per i Romani), un’essenza che legava la dimensione umana a quella divina e che permetteva l'avvicinamento agli dei, proprio grazie allo stato di ebrezza. 

Era anche un unguento destinato a medicare ferite e preservare i cadaveri dalla corruzione; si riteneva che gli dei se ne aspergessero e che avesse il potere di rendere immortali  uomini o cose su cui fosse versato.

La parola "vino" ha origine dal sanscrito "vena", da cui "Venus", Amore.
Quindi il vino, detto anche "miele del cuore" è da sempre nel linguaggio universale sinonimo di gioia, di legame e condivisione della vita. 
E’ come il pane che si divide fra compagni (dal latino cum panis).

Platone lo consigliava agli anziani.

Orazio, Catone e Varrone ne parlano con rispetto e apprezzamento e, in epoca più fiorente per l’impero, Plinio il Vecchio e Columella, cronisti e naturalisti di quella civiltà, si occuparono, trattarono e scrissero di viticoltura.



Nell’ Odissea, Omero descrive i poteri del vino:
“Vino pazzo che suole spingere anche l’ uomo molto saggio a intonare una canzone, e a ridere di gusto, e lo manda su a danzare, e lascia sfuggire qualche parola che era meglio tacere.”

Dopo un lungo periodo di decadenza della viticoltura, dovuto al declino dell’Impero Romano, contadini, frati e religiosi di ogni ordine, in particolare Benedettini, ripresero la produzione, soprattutto in considerazione del valore simbolico del vino. 

Durante il Medioevo, i conventi e le abbazie divennero veri e propri centri vitivinicoli.
La Francia, comunque dominava la scena.
Dal Rinascimento in poi, il vino riprese il suo ruolo di protagonista della cultura occidentale, fino al consolidamento delle tecniche di produzione, alla conservazione e al commercio (arte dei bottai, bottiglie, tappi di sughero).

Oggi, quel nobile piacere popolare, è diventato un bene caro ed esclusivo. Per molti un lusso, un prodotto che descrive uno status, quasi un ruolo di prestigio. Barolo, Barbaresco, Brunello, Amarone, Sassicaia: eccellenze enologiche, grandi cru, da diverse centinaia di euro alla bottiglia.

Studiare il vino è comunque un percorso affascinante. Si scopre un mondo complesso e variegato, fatto di storia, chimica, microbiologia, pedologia, agronomia e mineralogia. Dietro un bicchiere o in una botte, si nasconde, ma vive tutta una cultura di sapienza enologica e viticoltura, di ampelografia e tecnica, di estro e di fatica umana.


Io stesso, appassionato sommelier (piuttosto preparato …dicevano gli esperti), dopo tre intensi corsi e relativi esami, dopo tante visite a cantine e produttori, dopo piacevoli e inebrianti serate e degustazioni organolettiche, dopo tante ricerche di bottiglie rare in enoteche, ho perso l’entusiasmo di una trentina d’anni fa, anche se amo ancora alzare un  calice e parlar di vino.

Assaggiare, assaporare e abbinare è bello e seducente e accarezza l’anima, oltre le mode effimere e gli obblighi imposti dal mercato. La speculazione e i forti ricarichi su una bordolese di pregio, o anche assai modesta, allontanano però i consumatori.

Da sempre consiglio ad amici e conoscenti di optare per i vini di piccoli e onesti produttori - ce ne sono in tutta Italia, basta cercarli - o per quelli un po’ ruspanti e genuini delle Cantine Sociali regionali. Si fanno delle belle scoperte, si trovano piacevoli sorprese. 
L’importante è bere poco, ma bene, con occhio attento alle mistificazioni, al metanolo, ai vini che costano meno dell’acqua minerale.

29 aprile 2014                                                   
                             AlfredoLaurano                                                                                                                                                                         


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