Genny la carogna, figlio del camorrista
Gennaro De Tommaso detto il Putrefatto, ha dato l'ok perchè la partita si
svolgesse. Era già successo e succederà ancora.
In questo Paese sudamericannizzato,
calcisticamente e non solo, non è la questura o la prefettura che decide se un
incontro di calcio – ieri sera la finale di Coppa Italia - debba essere giocato.
Se esistono le garanzie per l’ordine pubblico.
Se una folla di appassionati del pallone e
di migliaia di bambini, innamorati di idoli colorati e sponsorizzati che, in
mutande, perpetuano il mito di Eupalla, possano o no assistere allo spettacolo
sul campo. In alternativa, si torna a casa: restano pur sempre le figurine misere
di ricchissimi campioni, nell’album o nella fantasia delusa di quei poveri
bambini.
Lo
decide “a carogna”, o “Spadino”, o Gastone, grandi capi degli Ultras.
Storie di ordinaria, ennesima follia, ormai
quasi quotidiana, dove tutto – politica, sport, diritti e legittime proteste –
è pretesto per scatenare la violenza, per sfogare la rabbia e la repressione, per
confondere la passione con l’intolleranza, l’entusiasmo con il fanatismo e per
alimentare una miserabile guerra civile fra incivili.
Un giovane, in fin di vita per una partita
di pallone, una decina di feriti, petardi e bombe carta e uno stadio intero,
ostaggio di se stesso.
Accade sempre e da quasi sempre, fa parte
della cronaca “sportiva”, o gialla, o nera o picchiettata di misantropia. Ogni
episodio si ripete e diventa oggetto di altri sterili dibattiti, fra incessante
gossip, giaculatorie popolari e sociologismo da permanente talk.
Ma nulla cambia, nemmeno le chiacchiere, le
frasi fatte, le dichiarazioni di
circostanza, le ipocrite condanne parolaie. Ci siamo abituati e rassegnati al
fatalismo della stupidità.
In tribuna d’onore, il disonore di un Paese
rappresentato dalle autorità, incapaci e incompetenti.
Si
tratta e si contratta con bande di teppisti, delinquenti e camorristi, anche
per una stupida partita di pallone: è lo Stato di diritto, liberale e
garantista, che tutela anche l’arbitrio e la vessazione.
È qualcosa di incredibile e incomprensibile.
Sembra smarrito il senso comune, il rispetto, l’educazione, la condivisione di
semplici passioni, in un clima di paura e d’isteria.
Ma c’è sempre l’inno nazionale: si chiama Fratelli d’Italia, l’Italia dell’odio, dei petardi e dei coltelli. Che quell’inno non canta, ma fischia con inesauribile disprezzo. E’ il disprezzo della civiltà.
Ma c’è sempre l’inno nazionale: si chiama Fratelli d’Italia, l’Italia dell’odio, dei petardi e dei coltelli. Che quell’inno non canta, ma fischia con inesauribile disprezzo. E’ il disprezzo della civiltà.
Che
schifo di Paese!
4 maggio 2014 (Alfredo Laurano)
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