“Nella vita esiste qualcosa più importante che
aumentare la sua velocità” (Gandhi)
Quando Ernesto Calindri, seduto in mezzo al
traffico di città negli anni ’60, sorseggiava imperturbabile il suo Cynar - un amaro
estratto dal carciofo - contro il “logorio della vita moderna”, lo stress non
aveva ancora contaminato la condizione umana. E ancora si viveva lenti e
contenti, anche se quel viavai di macchine faceva già paura.
Oggi, nell’era del “tutto e subito”, andiamo
a tutto gas in una continua corsa contro il tempo che scandisce azioni, scelte e
pensieri, come fossimo nel perenne Gran Premio che determina la nostra
esistenza. Sempre più lontani dai ritmi della natura legati al clima e alle stagioni e assorti nel nostro universo
d’interessi.
La
fretta è il motore che avvolge la nostra vita, che ci fa risparmiare ogni
secondo e adorare il mito della velocità.
E che ci rende migliori e scattanti, preparandoci al traguardo dell’ictus e
dell’ipertensione.
In
questo mondo frenetico e caotico, dove se non si è più veloci degli altri,
sembra di non essere al passo con i tempi, Luis Sepúlveda ci invita a
riflettere sull’importanza della lentezza, attraverso la storia di una lumaca
anticonformista – una favola per bambini, ma, soprattutto per adulti – e ci racconta
cosa siamo e cosa rischiamo, inseguendo i ritmi folli della presunta modernità.
Moltissimi altri autori hanno decantato la
lentezza.
Per Nietzsche era una vera e propria virtù.
Per Kundera “il grado di lentezza è direttamente proporzionale all’intensità della
memoria; il grado di velocità direttamente proporzionale all’intensità
dell’oblio”.
Anche la filosofia Slow Food, che
attraversa i campi dell'ecologia, del cibo, dell'etica e del piacere, va in
questa direzione.
Si oppone al processo di standardizzazione
dei gusti e delle culture, allo strapotere dell'industria alimentare e all’invito
a divorare anche ciò che mangiamo e che ci nutre in modo rapido, veloce e senza
gusto, come un obbligo sociale e burocratico, una pratica da sbrigare. E’ un
incentivo al consumo acritico, al “feticismo della merce” (Marx) che deprime
uno stile di vita sobrio e salutare.
Secondo
natura, tutti hanno diritto al piacere, anche della tavola. Quindi bisogna
vivere consapevolmente “slow”, per difendere le tradizioni e i saperi che ciò rendono
possibile.
Di fronte alle scelte imposte dalla
globalizzazione del mercato, sempre più aggressivo e competitivo, si diffonde e
si rinnova il falso credo dell’accelerazione e dei suoi comandamenti: bruciare i tempi, eliminare ogni forma di
ritardo, saltare ogni passaggio ritenuto inutile e graduale, ottimizzare le
risorse, individuare obiettivi e strategie innovative, assumere decisioni immediate
e sbrigative. Questo deve saper fare un illuminato manager di successo!
Dimenticando che c’ è anche la vita. Quella
comune, quella di tutti giorni.
Vivere una vita più consapevole e meno frenetica
permette, invece, a ogni individuo di controllare il proprio viaggio
nell’avventura umana, aumentando o rallentando la corsa e gli affanni quotidiani,
secondo le circostanze più opportune e le necessità di marcia o di riposo. In
armonia con la natura e i suoi equilibri.
Qualcosa dev’esserci sfuggito, dobbiamo
recuperare qualche barlume di umanità.
Torniamo a osservare, sentire, toccare,
riflettere e apprezzare ciò che ci circonda.
A riscoprire il valore dell’attenzione,
della semplicità e l’amore per le cose buone e belle.
Saper
fermarsi e godere l’attimo e il presente, spesso trascurato per anticipare il
futuro puntando sul totem dell’impossibile eternità,
non è mai tempo sprecato.
Perché,
anche se corriamo come il vento, quel tempo ci raggiunge sempre.
19 maggio 2014
AlfredoLaurano
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