Nella settima arte, per convenzione, si tende a classificare ogni film che viene prodotto in un filone facilmente riconoscibile dal grande pubblico. Un genere che ne indichi l’identità, anche per consentire una scelta o una preferenza: d’avventura, drammatico, storico, fantastico, epico, comico, giallo….
Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, però,
è un film eccentrico e inusuale, non facilmente collocabile, perché potrebbe
appartenere di diritto ad ognuna di queste categorie.
Propone, infatti, una continua giostra di
emozioni e situazioni che ne fanno un’incantevole commedia sui generis, ironica
e surreale.
L’intreccio narrativo si
muove e cresce tra la favola e l’operetta, attraversa il giallo e l’avventura,
disegna fantastiche atmosfere, tra il comico e il retrò, ma è sempre logico,
brillante e coinvolgente.
E’ un esempio di grande cinema, raffinato e
intelligente, sostenuto da una doviziosa sceneggiatura e guidato da
un’attentissima regia. Inquadrature, soggettive, carrelli, costumi
ineccepibili, attenzione maniacale ai suoni, alla scelta esplosiva dei colori e
alla composizione dell’immagine: tutto è studiato nel minimo dettaglio e curato
nella forma e nello stile.
Uno
dei suoi punti di forza è certamente il ritmo, sempre vivace e indiavolato,
dato dai continui cambi di piani, campi e sequenze, dai dialoghi serrati ed
incalzanti e dalla ricchezza di gag esilaranti - come il funambolico
inseguimento sulla neve, i frati e il trasbordo in funivia, la sparatoria in
hotel fra varie stanze - che incollano lo spettatore alla poltrona.
Riferita direttamente dal proprietario a
uno scrittore che la pubblica in un libro di successo, la storia a capitoli del
Grand Budapest è ambientata in un'immaginaria repubblica di Zubrowka, in un'
Europa primi '900.
Racconta i fatti avvenuti presso il
prestigioso hotel, dove il leggendario concierge Monsieur Gustave - vero
signore dell’albergo, molto amato dalla clientela e, in particolar modo, dalle
clienti anziane e danarose - e il suo fido Lobby Boy, di nome Zero, ma che lui chiama
garzoncello, intrattengono i vari ospiti, con stile impeccabile, buongusto e
una giusta dose d’ ironia, fra situazioni divertenti e demenziali, colpi di
scena e fantastiche avventure.
I due
protagonisti, Ralph Fiennes e l’esordiente Tony Revolori, sono eccezionali e tutto
il cast è di livello.
Anche
gli avvenimenti più esterni alla vicenda, come la guerra che entra sullo
sfondo, il viaggio in treno, il carcere o l’evasione, sono trattati con garbo e
discrezione e si integrano nella narrazione in misura adeguata e con i tempi
necessari alla loro comprensione.
Tutto
si compone e si realizza in un caleidoscopio di colori forti che descrivono un
mondo frivolo, egoista e vanitoso.
Forse può essere letto come metafora della nostra civiltà borghese e consumista, dove ogni stanza di quel hotel è abitata da stravaganti personaggi che riflettono vizi e virtù dell’ umana condizione e si esibiscono, in un contesto sfumato di edonismo e voluttà, in ruoli fra il ridicolo e il grottesco.
Forse può essere letto come metafora della nostra civiltà borghese e consumista, dove ogni stanza di quel hotel è abitata da stravaganti personaggi che riflettono vizi e virtù dell’ umana condizione e si esibiscono, in un contesto sfumato di edonismo e voluttà, in ruoli fra il ridicolo e il grottesco.
Il garzoncello del Budapest Hotel può
ricordare quello del Sabato del Villaggio di Leopardi, in cui il poeta,
accostando l’attesa della festa (il sabato) alla giovinezza che precede la
vita, invita il “suo garzoncello
scherzoso” a godere dell’età fiorita, prima che subentri quella del dolore:
“…è come un giorno d’allegrezza pieno, che
precorre alla festa di tua vita. Godi, fanciullo mio, stagion lieve è cotesta…”
Cosa sarà di Zero Moustafà, il
lobby boy protetto e istruito da M. Gustave, che da povero emigrato….
“Grand Budapest Hotel” è un film spettacolare
che sorprende, che diverte, che emoziona e fa pensare, pur lasciando un velo di
malinconia, un retrogusto leggermente amaro: una qualità, non un difetto.
Come
spesso succede nella realtà e nei grandi vini.
E, soprattutto, nel cinema
d’autore..
18 maggio 2014
AlfredoLaurano
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