C’è un momento nella nostra storia individuale
in cui scopriamo che esistiamo, che siamo nati, ossia, che abbiamo avuto un
inizio, un’origine. Prima, il mondo c’era già, ma non c’eravamo noi. Fino a un
istante prima di quel momento, pur già esistendo biologicamente, non ne avevamo
coscienza.
In quello stessa circostanza e a quella età
- tra l’infanzia e l’adolescenza e, quasi sempre, casualmente - veniamo a sapere pure che dobbiamo morire,
perché tutto ciò che comincia, in natura, prima o poi deve finire.
O, per chi
ci crede, può riciclarsi o reincarnarsi, trasformarsi o rivivere in altra
dimensione metafisica.
Lo spazio che va da quell’evento all’altro,
lungo o corto che sia, si chiama, per convenzione, vita o esistenza.
È una rivelazione cruda, brutale, esplicita
e dirompente.
Una scoperta che cambia la nostra vita,
sconvolge la nostra mente, il nostro equilibrio psicosomatico, i nostri
pensieri, anche quotidiani. Ci fa uscire dalla fanciullezza e dall’età
dell’innocenza.
Poi, col tempo, ci adattiamo e, grazie al
meccanismo della rimozione freudiana e al costante conflitto fra le pulsioni di
Eros e Thanatos che scandisce la nostra dimensione psichica e biologica,
continuiamo il nostro percorso, senza il continuo riferimento a quella
rivelazione.
Che pur resta sotto le ceneri della
coscienza per riemergere, senza preavviso, nei momenti più difficili e
traumatici, o di ansia e di maggior tensione, e manifestarsi sotto forma di
paure, di fobie, di squilibrio innaturale.
Il condizionamento, quindi, rimane, anche
se a livello prevalentemente inconscio, e indirizza,a nostra insaputa, scelte
e comportamenti, anche i più apparentemente casuali, banali e di poco conto.
Guida l’istinto di conservazione e i
bisogni primari.
Incrementa o deprime le emozioni, le
passioni e i sentimenti.
Esalta il piacere, i gusti, le manie e le
ossessioni.
Consolida e confonde ruoli e significati di
quel che ci circonda, di ciò che ci attrae o che ci è indifferente, che
rifiutiamo o che facciamo nostro.
Ci lega alle abitudini – preziose valvole
rifugio e di protezione – e alle cose, spesso, più che alle persone. Perché le
cose sono un riferimento certo, fedele e non hanno reazioni passionali o
d’intelletto. Ci danno certezze e piacere collaudato.
Con infinita tristezza e con la delusione
di chi ha visto miseramente fallire un’idea, un progetto, un valore in cui
aveva assai creduto, questa presa di coscienza ci fa realizzare, sempre più nel
tempo, che ciò che conta, che per noi è importante, che è vitale e
irrinunciabile, è solo effimera promessa, un attimo fuggente.
Gli affetti, i luoghi e le persone che
amiamo e con cui abbiamo diviso il pane o il letto, la gioia ed il dolore, la
sorte o l’avventura, e tanta vita insieme, assumono presto il sapore dei
ricordi. Nulla è assoluto, per sempre e senza tempo.
Da tutto, prima o poi, dobbiamo separarci.
La vita è un grande mosaico personale, in
divenire, di cui ognuno è autore e artista. Nel tempo lo compone, lo decora e
lo arricchisce con tessere, quadrelli e frammenti di diversa natura, forma e
colore – sono i valori di cui ho appena detto - che custodisce dal primo
vagito, all’ultimo respiro.
E un’opera sontuosa, geniale ed imponente
e, per ciascuno, unica ed esclusiva.
Ma quella costruzione, così vivace e
coinvolgente, diventa via via sempre più instabile e precaria. Non è incollata,
non c’è calce, né cemento che tenga fissi a lungo quei pezzetti di vita
iridescenti, policromi e mutevoli.
Ogni tanto se ne stacca uno, cade nel vuoto
e sparisce per sempre da quel quadro.
Non si può sostituire il pezzo, non c’è in
natura il ricambio giusto, né alcuna garanzia del costruttore. Nè si può
riparare il guasto, perché non c’è artigiano capace e competente.
Ciò che resta del mosaico, che a fatica
abbiamo costruito, prima o poi crolla del tutto e si smantella. Lo sappiamo,
ormai, ma non è quella la vera sofferenza.
Lo è il momento del distacco da ogni
singola, preziosa particella, che pensavamo nostra e che non vorremmo mai
abbandonare.
Lo è scoprire che anche l’ infinitamente
ricco mondo della mente e del pensiero, pur non abitando la dimensione del
concreto e dell’usura, precipita e nel nulla si dissolve.
Quanto immotivato spreco! C’è forse una
ragione convincente?
Chi ha fede, in qualche modo, l’ha trovata
perché crede in ciò che spera e che desidera.
Credere nell’aldilà conforta il dubbio,
attenua la paura e aiuta a vivere nell’aldiqua.
12 maggio 2014
AlfredoLaurano
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