Se
il Senato darà il suo consenso – e ciò potrebbe accadere, considerando i numeri
della maggioranza e dei possibili alleati, il segreto del voto, le assenze in
aula, le ripicche e le possibili vendette personali e il benestare già annunciato
da Di Maio, nel rispetto (interessato?) della la sua sbandierata e impavida volontà
di giustizia – sarebbe in effetti processato, e quasi sicuramente condannato.
Il
Tribunale dei Ministri (che non è
una corte speciale, ma una sezione specializzata del tribunale ordinario) ha
chiesto l’autorizzazione
a procedere in giudizio nei suoi confronti, con
le imputazioni di sequestro di
persona aggravato, arresto illegale e abuso d’ufficio, per i reati connessi
alla nave Diciotti, dell’agosto scorso.
La
richiesta, che contraddice quella di archiviazione già avanzata dalla Procura
di Catania, arrivata ai primi di novembre, lascia intendere chiaramente
l’intento di perseguire le sue colpe, altrimenti non avrebbe senso, come lo
stesso superamento dell’archiviazione.
L’ardito
sceriffo dei porti chiusi ha sempre dichiarato: “processatemi, non ho bisogno dell’immunità”, ma forse ignora
cosa
significhi affrontare un regolare processo, con tutte le conseguenze che ne
derivano: il rischio di una possibile condanna da 3 a 15 anni, la fine di una
carriera da politico e da segretario di partito, l’addio al potere così
faticosamente conquistato, un’immagine decisamente compromessa, anche sul piano
internazionale, l’abbandono inevitabile di amici e compagni di Lega.
Comunque
vada, dovrà necessariamente abbassare le penne della presunzione, spogliarsi
delle corna celtiche e indossare forse un’inedita divisa a righe, che oggi
ancor gli manca.
(Alfredo Laurano)
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