Fu
un idolo del calcio romanista di tanti anni fa, soprattutto per quelli della
mia generazione.
La
Roma piange la scomparsa all'età di 83 anni di Pedro 'Piedone' Manfredini, italo-argentino,
uno dei più grandi attaccanti della storia giallorossa, dal 1959 al 1965. Realizzò
con la Roma 104 reti in 164 partite, quinto miglior marcatore della storia romanista,
vincendo una Coppa delle Fiere e una Coppa Italia. Fu capocannoniere in Serie A
nel 1962-63
Arrivò
nella capitale nel 1959, acquistato dal Racing Avellaneda per la cifra record
di 78 milioni, e divenne subito famoso per il particolare soprannome,
''Piedone''. In realtà aveva un piede assolutamente normale, ma quando scese
dall’areo, a Ciampino, la prospettiva di una foto con grandangolo gli ingigantì
il piede così da suggerire ad un cronista dell'epoca il nomignolo che lo
accompagnò per tutta la vita.
La
sua epoca è tuttavia legata anche uno dei periodi più bui della “Rometta”: il
presidente Marini Dettina che dichiara di non avere più soldi nella società (in
passivo di due miliardi dovuto a operazioni di mercato quantomeno discutibili: acquisto
di nomi altosonanti come John Charles, ormai sul classico viale del classico
tramonto, e Angelo Sormani, mister “Mezzo Miliardo”); l’allenatore Juan Carlos
Lorenzo che lo annuncia in un’assemblea cittadina al Teatro Sistina, che si
traduce in una colletta popolare, per affrontare la trasferta di Vicenza. Fu una
delle pagine più buie e al contempo grottesche della storia giallorossa, con i
tifosi romanisti, ancora una volta, pronti a un sacrificio che non ha
precedenti nel mondo del calcio.
In quegli anni, comunque, Manfredini
ebbe come compagni di squadra grandissimi campioni, come i portieri Panetti e
Cudicini “il ragno nero”, “Picchio” De Sisti, Angelillo, Selmosson, Guarnacci, il
gagliardo capitan Losi, che aprì un bar dopo il ritiro, in piazzale della
Radio, come anche lui stesso fece a fine carriera, a piazzale Clodio.
Era
un’altra Roma quella di Piedone, un altro calcio fatto di emozioni vere, di
speranze e delusioni e, soprattutto di passione.
Noi ragazzi, la domenica, andavamo
a Monte Mario, sopra lo stadio, a vedere o quasi la partita. Ci arrampicavamo al primo o al secondo
spiazzo insieme a tanti altri, lungo una specie di sentiero che col via vai si
era formato. Alcuni, addirittura, salivano sugli alberi più alti. Quando mancava un quarto d’ora circa alla
fine dell’incontro, di corsa scendevamo, per non dire rotolavamo, per entrare
nello stadio, che apriva per tempo i cancelli per l’uscita degli spettatori,
per seguire da vicino le ultime fasi, ma soprattutto i nostri beniamini: Da
Costa e Manfredini, Lojacono, Angelillo e tutti gli altri.
Sempre
la stessa domenica, alle sette della sera, si aspettava di vedere alla TV il
secondo tempo registrato di una partita di quella giornata, con la speranza che
fosse la Roma, ma quasi sempre, chissà
perché …c’era la Juve!
Il lunedì, curavo il mio personale
“giornale” sportivo. Una sorta di “Corriere dello sport” casareccio.
Quattro o sei pagine su un quadernone
formato protocollo con titoli, occhielli, sommario, manchette e box grafici sui
cui annotavo, sempre a mano, risultati, classifiche e marcatori e, soprattutto,
scrivevo articoli e commenti tecnici, molto partigiani, sulle partite di calcio
della domenica precedente.
In quegli anni, non c’erano tutti i
quotidiani sportivi, le moviole, i replay infiniti da mille angolazioni e le
tantissime trasmissioni di oggi. Né si parlava di calcio ogni momento.
Ma del mitico Piedone, al bar o con gli
amici, si parlava sempre e tutti lo adoravano.
Addio campione e grazie dei sogni e delle
gioie che ci hai regalato.
22 gennaio 2019 (Alfredo Laurano)
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