Quand’ero
bambino, i doni li portava una vecchina gobba e trasandata, vestita di stracci
e coperta di fuliggine.
Era
così brutta e poverella che tutti dicevano: “anvedi che befana!” E quel nome le
restò per sempre.
Ma,
nonostante fosse inguardabile e misteriosa, anche perché non si doveva e poteva
vedere, era molto generosa e viaggiava a bordo di una turbo-scopa di saggina ed
entrava nelle case, attraverso la cappa del camino.
“La
befana vien di notte con le scarpe tutte rotte, col cappello alla romana: Viva
viva la Befana!”
Era
sicuramente un’extracomunitaria ante litteram, senza permesso di soggiorno e
quindi clandestina. Ma, siccome non spacciava droga, ma dolciumi, la lasciavano
vagare per i cieli rari e bigi della generosità.
Più
che altro, riempiva le calze appese al caminetto di caramelle, noccioline,
mandarini e frutta varia (che una volta erano un lusso), soldini di cioccolato
e qualche pezzetto di zucchero-carbone.
Poi,
si affermò il regime delle merci e del Mercato.
Vennero
i tempi del superfluo, dello spreco e del degrado che davano valore solo ai
beni di prestigio e alle cose più banali, cancellando gli antichi e umani
sentimenti.
La
Befana, essendo appunto così brutta e poverella e, ormai, del tutto inadeguata,
fu emarginata e dimenticata in un centro di accoglienza e identificazione per
migranti e poi espulsa e sostituita dal ricco e pingue Babbo natalizio,
esponente yankee di un più sano consumismo globalizzato.
Anche perché, non c’erano più calze di lana, ma solo collant e autoreggenti.
Anche perché, non c’erano più calze di lana, ma solo collant e autoreggenti.
E
i regali arrivarono in eccesso, grazie ad Amazon e alla tecnologia, da cui
Santa Klaus si riforniva, con consegna in tutto il mondo in poche ore.
La
buona vecchina, che aveva nutrito anche le nostre lontane fantasie, uscì con
decreto prefettizio dai sogni dei bambini e quasi sparì pure dalla bancarelle
di Piazza Navona, a Roma, dove un dì regnava, incontrastata, insieme a bambole
e presepi.
5
gennaio 2019 (Alfredo Laurano)
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