Dopo
il Duce, non abbiamo più avuto un uomo della Provvidenza o, meglio, l’uomo che
la Provvidenza ci ha fatto incontrare, come disse allora Pio XI, visto che Mussolini
pose le fondamenta del potere economico e finanziario del Vaticano.
Non
lo furono De Gasperi, né tantomeno Togliatti o Berlinguer - per evidenti
conflitti d’interesse – né i cattolicissimi Moro e Andreotti.
Lo
fu per molti, o apparve tale, quando scese in campo nel 1994, Silvio Berlusconi,
occupando i resti della strage partitica e politica che Mani Pulite aveva
prodotto.
E
facilmente, grazie soprattutto al suo potere finanziario e alle giuste amicizie
dietro le quinte di casa nostra ed internazionali, nacque l’ultimo mito di fine
secolo, il messia di Forza Italia, l’uomo dei miracoli, della resurrezione e
della rinascita. L’unico capace di distruggere comunisti residuali e magistrati
scomodi, che, guarda caso, iniziarono a perseguitarlo come un protomartire
cristiano. E le piazze si riempirono di fans, di bandiere e barzellette.
Poi, per gli errori, per l’età,
per l’abuso di potere, per le condanne, per le storie personali e il
bunga-bunga, precipitò nel baratro politico dell’oblio
Ma,
a differenza di altri casi più fragili e fittizi, l’ascesa e la caduta del suo mito,
attraverso il tempo, non fu mai netta e definitiva: la sua parabola politica, a
dispetto della Storia, non conosce ancora fine.
Dalla
Sardegna e in video, arriva infatti l’annuncio che è costretto a intervenire ancora:
“L'Italia è il Paese che amo. Con queste
parole, 25 anni fa, mi rivolsi agli italiani per chiedere di unirsi a me per
salvare l'Italia da una grande pericolo e costruire per tutti un futuro di
benessere e di libertà. Allora scesi in campo per evitare che il Paese finisse
in mano a una sinistra ancora comunista. Oggi, esiste
una nuova minaccia.”
Dalla
solita scrivania, con le luci filtrate, i ritratti di famiglia alle spalle, il
collaudato leader della Provvidenza fatta in casa comunica la sua ennesima
discesa nell’agone.
Una
scelta necessaria, compiuta, come sempre, per alto senso di responsabilità.
I
nemici non sono più i comunisti (che non ci sono più fra quelli che contano) o
i magistrati in toga rossa, né il sempre amico Salvini, cui affiderebbe,
obtorto collo, un futuro governo. Ma sono quegli incapaci dei Cinque Stelle che
vogliono smontare e demolire tutto, altro che le rottamazioni del renzismo e
dello smarrito e disagiato PD, ancora in cerca d’autore e identità, dopo la
batosta.
"Nei loro programmi c'è
il peggio del Novecento, sono contro l'economia di mercato, contro le
infrastrutture, contro la democrazia parlamentare, sono contro lo stato di
diritto, contro le nostre garanzie di giustizia e di libertà che vogliono
addirittura trasformare da feroci giustizialisti”.
In
conclusione, secondo un antico copione, torna in campo perché il senso di
responsabilità glielo impone, perché il Paese che ama lo merita, gli italiani
lo meritano, i loro figli lo meritano.
Ma
è proprio sicuro che anche lo vogliano?
26
gennaio 2019 (Alfredo Laurano)
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