Ne parlavamo casualmente la notte di
capodanno, prima di cenare.
Con l’amico Brunello, a proposito di
musica, divertimento, feste, veglioni, per alcuni di lavoro, ricordavamo tempi
lontani.
Il tempo dei night club, locali notturni
caratterizzati da un'atmosfera soffusa e musica generalmente dal vivo, che
offrivano varie forme di intrattenimento: jazz, swing e generi leggeri aperti e
dedicati al "ballo della mattonella", oltre a qualche numero comico,
di prestigio e perfino di “audaci” spogliarelli. Arbore e Proietti ne hanno
fatto, di recente, un esilarante racconto, un ennesimo cavallo di battaglia.
L'epoca d'oro dei night in Italia risale
agli anni cinquanta e sessanta: ottimi artisti, champagne e tartine al caviale,
belle ragazze del locale, dette entraineuses (intrattenitrici), capaci di
divertire e far passare un paio d’ore spensierate, senza per questo essere facilmente
arrendevoli come molti erano portati a credere. Contavano i tappi che avevano
collezionato (uno per ogni bottiglia aperta), sui quali veniva loro
riconosciuta una percentuale, oltre al normale compenso giornaliero.
Al di là del lato folkloristico che ne
diffondeva l’immagine di ambiente proibito e scandaloso - considerato luogo di
perdizione da chi non lo conosceva da vicino - i locali erano molto eleganti, a
volte un po’ kitsch, con un servizio impeccabile e orchestre di prima qualità
come quelle di Renato Carosone, Gastone Parigi, Peter Van Wood, Bruno Martino,
Marino Barreto Jr, uno dei re della notte, che sapeva creare l’atmosfera
giusta, grazie alla sua voce un po’ nasale e cantilenante, che favoriva il
ballo di coppia a strettissimo contatto.
Poi gli altri grandi, come Sergio
Endrigo e Riccardo Del Turco, Peppino Di Capri, Fred Bongusto e molti altri. Ai
clienti si richiedeva un abbigliamento adeguato.
Il mio complesso, assai meno noto, agiva
spesso da “seconda orchestra” ed aveva il compito di aprire e chiudere la
serata e accompagnare i numeri di varietà.
I night club più famosi a Roma erano: l’84
da Oliviero, il Pipistrello, il Capriccio, la Cabala, l’Open Gate, il Crazy
club, le Grotte del Piccione, la Taverna degli Artisti, la Rupe Tarpea, il
famoso locale di via Veneto che, negli anni 60, rappresentava il cuore della
Dolce Vita, ospitando i concerti di Fred Buscaglione e Renato Carosone e vedendo tra gli abituali frequentatori Totò, Anna Magnani, Sofia Loren, Frank Sinatra a Marcello
Mastroianni, ma anche Liz Taylor, Richard Burton, Ingrid Bergman e Roberto
Rossellini e tanti altri personaggi dello spettacolo.
In quel periodo, i night club, tappa fissa
dei nottambuli e terreno di caccia per i paparazzi de “La dolce vita”, offrivano un genere di
intrattenimento che affascinò la buona borghesia negli anni del boom economico
e rappresentarono una stagione irripetibile di risorse artistiche, sia musicali
che di varietà, sino alla fine degli anni settanta, poi, lentamente,
cominciarono a sparire.
Nel 1965, nacque il
Piper, locale simbolo e innovativo di un’epoca, che ha fatto la storia della
musica non solo italiana.
Arrivarono The Rokes e l’Equipe
84, Patty Pravo, Wess e Dori Ghezzi - che aveva una orchestra con una grande
sezione di fiati che ci impressionò parecchio - Caterina Caselli, Mal e The
Primitives, i Dik Dik, Gepy & Gepy, Rocky Roberts, I Giganti, I Corvi,
Loredana Bertè, Ricky Shane. Poco dopo, determinò il successo di Mia Martini,
dei Ricchi e Poveri e dei Genesis.
Il Piper diventò presto il punto di
riferimento per i teen ager dell’epoca, che si incamminavano verso
l’emancipazione, la libertà, l’indipendenza: un fenomeno di costume, tanto da
trasformarsi in una vera e propria icona di una generazione pre-sessantottina.
Un mito popolare nell’immaginario
collettivo, che comprendeva la Piper generation, la cultura Hippie e la non
violenza, il Beat, lo shake & pop art, il rhytm and blues, in nome del
quale si moltiplicavano le band, i locali e le cantine adibite a luoghi
musicali, frequentati da tanti giovani che si vestivano con le camicie a fiori
e portavano i capelli lunghi sulle spalle.
Si vendevano milioni di copie di dischi, soprattutto
nel formato 45 giri, che i ragazzi ascoltavano con i mangiadischi, in macchina
e nei prati.
Con la mia band, (all’epoca si chiamavano
complessi) ho suonato in molti night, hotel e ristoranti di Roma e, d’estate,
fuori, in varie località marine. La domenica pomeriggio, furono di moda anche i
cosiddetti “The danzanti”, per divertire e far ballare anche i più giovani e
gli studenti.
L’international Artist Club di via Veneto
era una specie di riferimento fisso, come pure l’Hilton e la nostra grande e
polifunzionale “cantina” musicale di piazza Risorgimento, dove si suonava, si
ballava, si parlava e nascevano dibattiti e storie d’amore e d’amicizia.
Qualche esibizione estemporanea e
avventurosa, anche con Josè Salvador, Silvan Baby (Silvano Polidori) e Fiorenzo
Fiorentini, anche al Terminillo.
Insomma, si faceva musica dappertutto,
ovunque ti chiamassero e ti offrissero un minimo di compenso.
Sopra
ogni cosa, sopra ogni sacrificio, ogni improba fatica: la passione, l’amore per
il suono e per il canto che ti seduce, ti cattura e ti diverte. Che ti permette
di raccontare storie e sentimenti che le parole spesso non sanno esprimere. Che
aiuta a riflettere e a distrarti nei momenti difficili, che ti dà soddisfazione,
che ti ripaga sempre dell'impegno, che unisce e ti avvicina agli altri, che ti
fa ridere o piangere e ti regala sempre e comunque un’emozione.
(Alfredo Laurano)
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