L’Italia
è anche il Paese delle Sagre.
Da nord a sud, è quasi impossibile sapere quante
siano, perché spunta sempre, dietro l’angolo di qualche borghetto, una
bancarella con una porchetta, un formaggio o un cuoppo fritto, esibito come
prodotto tipico.
Qualcuno
parla di almeno duemila: da quella della trippa a quella del baccalà, da quella
del tortello a quella del pollo ruspante, da quella del peperone a quella del
pesce, del carciofo o della tellina. Fino a quella della romagnola Pera cocomerina.
Presto
qualcuno si inventerà pure la sagra del sushi, non propriamente tipica delle
nostre lande, ma pur sempre un buon affare.
Le
sagre ormai proliferano e si moltiplicano di estate in estate, promuovendo tra
residenti e turisti la cultura gastronomica del territorio e della tradizione, creando
anche non pochi problemi alla ristorazione. Sono sempre affollatissime, tra
cucine, pentoloni, fumi e profumi.
Ma
esiste, per chi non lo sapesse, anche la Sagra della Pastasciutta antifascista,
che si tiene dall'indomani dell'arresto di Mussolini, avvenuto il 25 luglio del
1943, in ricordo della grande pastasciutta collettiva che la famiglia Cervi
offrì a tutto il paese, distribuendola in piazza a Campegine per l’occasione. Seguirono
molti mesi di ulteriori sofferenze per il popolo italiano, ma in quelle ore si
festeggiò in tutta Italia la destituzione del Duce.
Da
moltissimi anni, nei giorni di fine luglio, questa festa, popolare e genuina,
rivive nell’aia del Museo Cervi di Gattatico (RE), mantenendo intatto lo
spirito di quei giorni di effimera speranza.
Le
Pastasciutte Antifasciste hanno poi conquistato altri territori e altre
comunità, si sono estese in tutta Italia e sono diventate una rete di oltre settanta
manifestazioni, idealmente collegate ai fratelli Cervi, unendo migliaia di
cittadini di ogni età, in un comune sentimento di libertà.
Nel
cimitero di Campegine riposano le spoglie dei sette fratelli Cervi: Agostino,
Aldo, Antenore, Ettore, Ferdinando, Gelindo ed Ovidio, contadini innovatori, strenui
oppositori del regime fascista, che li fucilò, il 28 dicembre del 1943, al
Poligono di tiro di Reggio Emilia. I loro corpi furono rinvenuti nel cimitero
di Villa Ospizio (RE) l’anno successivo, a seguito di un bombardamento. La
storia della famiglia Cervi è poi assurta a simbolo del coraggio, della
generosità dei contadini reggiani e della loro caparbia volontà di non piegarsi
ad un regime totalitario e violento.
Anche
una sagra “esportata”, di origine storica e politica e nata quasi
spontaneamente, può servire a riproporre il ricordo di un vile fatto storico, di
una assurda strage familiare, con gli stessi ingredienti di quella serata di
Casa Cervi: una rievocazione della caduta del fascismo, tramite una semplice
pastasciutta, a burro e parmigiano (altro non c’era), per tramandare la memoria
dei valori della Resistenza e dell’Italia antifascista.
Soprattutto oggi, fra raduni di nostalgici del Ventennio, teste rasate, canti, saluti romani e una sfilza di negozi di souvenir, da Predappio allo stabilimento balneare di Chioggia - dedicato a Mussolini, dove si esaltano pure le camere a gas - che tirano a lucido le proprie ignobili vetrine con felpe, cappelli, tazze, bicchieri, coltelli, poster, bandiere, bandane, foto, cartoline, spille e calamite inneggianti al duce. Il folclore del disgusto. (Alfredo Laurano)
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