Col
tempo e nella storia della società, del costume e delle mode, le parole
cambiano di significato o ne aggiungono altri. Il linguaggio si muove secondo
nuovi bisogni, spesso indotti dalla tecnologie, si adegua e si rinnova sempre
tra evoluzione e novità. Anche in virtù dei mezzi che lo veicolano: libri,
giornali, talk, internet, social network, applicazioni, e-book. E le parole, essenziali
strumenti di comunicazione, insieme ai gesti, ci permettono di esprimere i
pensieri.
La
disciplina che si occupa di studiare e analizzare il significato delle parole e
la loro combinazione per comporre un significato è la semantica, ramo della
linguistica.
Come
dice lo Zingarelli nell’edizione 2015, le parole non sono mai neutre, ma hanno
un senso “oggettivo”, comune a tutti, e uno “emotivo”, proprio di ciascuno.
Ognuna
ha una propria sfumatura che la carica di vita e la movimenta. Una specie di
valore aggiunto, un significato “emotivo” appunto, perché la nostra mente, come
in un film, proietta su ogni singola parola caratteristiche sensoriali che
rimandano a immagini, suoni, odori, sensazioni.
Ogni parola apre un mondo, da
ogni parola si dirama una rete fittissima di significati che spesso si
incontrano e si intrecciano. Ad esempio, parole e argomenti come canto, stile,
ironia, sapore, spazio trovano una più ampia e articolata “definizione
d’autore” se vengono trattate, rispettivamente, da Mina, da Armani, da Verdone,
da Gualtiero Marchesi, dalla Cristoforetti. Fermo il significato oggettivo che
tutti conosciamo e usiamo nel linguaggio quotidiano.
Una
parola, oggi di gran moda e attualità, e che comprende molto questa oggettività
e emotività, è sicuramente “condivisione”.
La
condivisione è l'utilizzo in comune di una risorsa o dello spazio. In senso
stretto si riferisce all'uso congiunto di un bene finito come, ad esempio, un’abitazione.
È anche correlato al processo di dividere e distribuire.
Condividere,
verbo transitivo, composto da con e dividere: cioè, dividere, spartire con
altri: il patrimonio è stato condiviso equamente tra i fratelli.
Oppure,
avere in comune con altri: condividere l’appartamento, il cibo, un’esperienza.
Molto spesso, in senso figurativo:
condivido pienamente la tua opinione; non condivideva le mie idee; condividono
la passione per la montagna; un’opinione condivisa da molti; obiettivi e
programmi largamente condivisi.
Condividere
è un verbo che oggi risulta particolarmente caro ai siti sociali.
Grazie a internet ha ampliato il suo rilievo semantico, ha scoperto una crescente evoluzione, anche nell’accezione equivalente di far circolare. Youtube, ad esempio, consente di creare canali che possono essere condivisi, così come i singoli video, mettendo in comune passioni, musiche, interessi.
Grazie a internet ha ampliato il suo rilievo semantico, ha scoperto una crescente evoluzione, anche nell’accezione equivalente di far circolare. Youtube, ad esempio, consente di creare canali che possono essere condivisi, così come i singoli video, mettendo in comune passioni, musiche, interessi.
I
social network come Facebook sono spazi talmente personali che oggi vengono
usati anche e soprattutto per mandare messaggi, commenti, insulti,
testi o foto, per parlarsi gratuitamente, con o senza la propria voce o
immagine.
E
allora, vai con le foto e i video delle vacanze, del viaggio esotico, della
cena romantica o del gruppo di calcetto.
Dei milioni di gattini, cani e pappagalli che improvvisano giochi e acrobazie con neonati e bimbi dispettosi, i una sorta di Paperissima non stop.
Di massime e aforismi inflazionati e preconfezionati, sull’amore, sull’amicizia, sulle donne, sulle mamme, sui sentimenti religiosi. Vanno a ruba quelli di Oscar Wilde, di Goethe, di Voltaire e Fabio Volo.
Dei milioni di gattini, cani e pappagalli che improvvisano giochi e acrobazie con neonati e bimbi dispettosi, i una sorta di Paperissima non stop.
Di massime e aforismi inflazionati e preconfezionati, sull’amore, sull’amicizia, sulle donne, sulle mamme, sui sentimenti religiosi. Vanno a ruba quelli di Oscar Wilde, di Goethe, di Voltaire e Fabio Volo.
E,
ancora, i finti scoop, i falsi scandali o le bufale continue e quotidiane che
vivono un momento di presunta veridicità. Le diete, il gossip, i ritocchini
plastici, le cronache mondane, le affermazioni qualunquiste o gli attacchi ai
politici, i confronti e i fotomontaggi fatti di immagini e slogan terra terra e
privi di fantasia, di parole d’ordine comuni e sempre uguali. Pochi o
più rari i post di denuncia sociale, di emergenze umanitarie, di segnalazione
di abusi e soprusi, di partecipazione attiva e collettiva alle più tristi vicende
umane. Fanno eccezione, ovviamente, i riferimenti al terrorismo, alle stragi
che si moltiplicano e alle relative paure in tutto il mondo.
Tutto
rigorosamente condiviso, senza filtri sociali, etici e culturali, in una digitale
e irresistibile catena di Sant’Antonio, apparentemente spontanea e naturale, che
veicola emozioni e sensazioni stantie, livellate e impacchettate.
La
condivisione, in questo senso è diventata una malattia contagiosa che si prende
e si propaga sul Web, che ufficializza e certifica la voglia e la necessità di
partecipare, di esserci, di contare.
Non
servono, poi, parole troppo erudite per resistere alla semplificazione di Twitter
e di Whatsapp: bastano le abbreviazioni e i sinonimi più comuni di un
ridottissimo vocabolario per appiattire e snaturare la lingua e la sua preziosa
storia.
Secondo
un recente studio inglese, dei potenziali 40 mila termini conosciuti da un
comune cittadino di media istruzione (le parole del nostro vocabolario di base sono
molte di meno, circa seimila, ma coprono comunque tutte le necessità del vivere
quotidiano), su Internet e telefonini, se ne usano solo ottocento e, tra molti
giovani, appena qualche decina.
E
così le parole invecchiano, cadono in letargo, in disuso e poi si estinguono.
A proposito, chissà quanti non condivideranno
questi miseri pensieri!
13 gennaio 2016 (Alfredo Laurano)
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