Dall’inizio di quest’anno non si parla che del fenomeno Zalone. “Quo
Vado”, un successo senza precedenti, record di incassi e di pubblico, numeri da
capogiro, sicuramente una grande operazione commerciale.
Chi lo ha visto e chi non lo vedrà per partito preso, chi lo
snobba, chi lo esalta, chi lo distrugge. Sul giudizio di “Quo Vado” si è
scomodato perfino Gramsci e la politica di oggi, il renzismo e il
berlusconismo, le analisi socio-politiche sull’italiano medio.
Si è cercato di
attribuirgli un ridicolo mantello di appartenenza o di riferimento a una Destra
o a una Sinistra o, comunque, un’etichetta populista e qualunquista.
Qualche presunto e
illuminato critico (del F.Q.) a sua insaputa, pur di farsi notare e di guadagnare
la palma dell’imbecillità, invita gli spettatori ad uscire dalla sala molto
prima dei titoli di coda. Qualcuno consiglia di risparmiare i soldi del
biglietto. Molti lo adorano. Per altri, è un mediocre di successo.
Cominciamo col dire che Luca Medici (alias Checco Zalone), laureato in legge,
musicista, imitatore e cantante oltre che attore, naturalmente e fisicamente
comico, non fa altro che il suo lavoro: far ridere. E lo fa bene, con misura e
intelligenza e senza volgarità.
Con sarcasmo e ironia, descrive i vizi degli italiani e riesce anche
a far pensare, oltre che ridere, quando accenna ad argomenti seri e delicati come
il riscaldamento globale del pianeta, la carenza di vaccini nei villaggi
africani, il mito della civiltà nordica. O quando lancia frecciatine allusive,
quasi impercepibili, alla Tav, ai centri di accoglienza, ai "condannati alla partita Iva",
ai fatti di terrorismo e al dramma dell'ondata migratoria, alle implicazioni
razzistiche. Tutto trattato con leggerezza, con tatto e discrezione, come pochi
sanno fare.
Vis comica e satira si intrecciano nello specchio della realtà, quando
racconta l’odissea di Checco che, pur di non abbandonare il mito del suo posto
fisso, è disposto ad andare fino in Norvegia e al polo nord, fra le foche e gli
orsi bianchi. Lì, fra magnifici scenari e ambientazioni, troverà l’amore di Valeria,
una ricercatrice ecologista e anticonformista - “hai presente Cameron Diaz? Mettici dentro un po’ di Margherita Hack e
una spruzzata di Licia Colò” - e affronterà un radicale cambio di vita.
Si immergerà in una cultura totalmente diversa dalla sua, fatta
di gente virtuosa, libera, efficiente e senza pregiudizi, dove tutto funziona,
è pulito e organizzato. Però per sei mesi l’anno è sempre notte e “tutti sono depressi. E si uccidono.
Perché?"
Si adeguerà, accetterà l’idea di famiglia allargata e
multietnica, abbandonerà ogni retorica maschilista, imparerà a non saltare le
file e a non suonare al semaforo…ma, colpito nel profondo del suo essere, gli
basterà vedere Al Bano e Romina nuovamente insieme in TV, per entrare in crisi,
per rischiare di perdere tutto e tornare sui suoi passi. Ma qualcosa dentro di
lui è cambiato per sempre…Ha subito un mutamento antropologico.
Eccellente ed adeguato il cast, straordinaria la fotografia,
coinvolgente il ritmo, le musiche (sue) e la sceneggiatura.
Le gag di Zalone hanno senso e contenuto, non sono barzellette
di Pierino portate sullo schermo, e contribuiscono a smuovere le coscienze e l’autoanalisi,
con la forza dell'ironia e, a volte, del paradosso e del grottesco. Il suo
stile elementare ma efficace e la sua comicità espressiva e naturale, colpiscono
nel segno, come nelle battute lapidarie degli stupiti genitori, dei bambini e
degli altri personaggi, mai banali, mai casuali. O come nel gustoso e
significativo stornello della Prima Repubblica, dove fa devotamente il verso a
Celentano.
Divertimento e tanti spunti di riflessione in questo film di
“Cozzalone” (grossa cozza) - da cui autoironicamente deriva la scelta del nome
d’arte di Checco Zalone - e di Gennaro Nunziante (il regista), che si sviluppa sul mito del
posto fisso, ribadito a oltranza, ma che sa raccontare con simpatia e bonomia
come siamo e come ci riconosciamo, un po’ boriosi e un po’ patetici, con tanti
difetti, qualche mania e poche virtù.
E’ facile ridere
degli altri, ma è cosa rara ridere di se stessi. Bisognerebbe farlo sapere a
certa critica snobistica, persa nell’aristocrazia della sua sciocca vanità.
14 gennaio 2015 (Alfredo Laurano)
N.B. Una cara amica, che ringrazio molto, mi precisa il significato del termine "Cozzalone".
Gianna M.
Sempre d'accordo con te, caro Alfredo! D'accordo con la tua critica nei confronti del film, nei confronti di Checco Zalone e nei confronti di quanti non lo apprezzano: d'accordo come sempre, in maniera imbarazzante.
Vorrei precisare una cosa, però: cozzalone non sta per grossa cozza ma per grande cozzalo.
Il termine "cozzalo" a Bari è un termine dispregiativo, sinonimo di cafone, burino, persona grossolana ed ignorante.
Deriva, per estensione di significato, dal dialetto "chezzale" (si pronuncia senza le "e".. più o meno così: chzzal) che significa contadino (inutile precisare che nei confronti del contadino, il termine non è dispregiativo).
Luca Medici, specialmente agli inizi della sua carriera, esibendosi nel programma televisivo Zelig, amava fare la caricatura dei cafoni e ci riusciva benissimo nel modo di esprimersi, di vestirsi e perfino di muoversi.
Dall' esclamazione "che cozzalone!" nasce Checco Zalone.
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