Quante ragazze e adolescenti
dovranno ancora ammazzarsi, lanciarsi dalle finestre, soffrire, piangere, patire,
tormentarsi ed essere vessati da un esercito di bulli e teppistelli che la tecnologia
ha reso più spavaldi, violenti e cattivi?
La legge contro il
bullismo e il cyberbullismo giace ancora in Parlamento e i casi di persecuzione
si ripetono quotidianamente, anche quando non sono oggetto di cronaca ordinaria
e di dibattiti.
Bulli e bullette agiscono pubblicamente nel tentativo di
conquistare una posizione di rilievo nel gruppo e, per aumentare le probabilità
di successo, scelgono come vittime i coetanei più deboli fisicamente o
psicologicamente.
Il bullismo è
rappresentato da un insieme di aggressioni di diverso tipo rivolte in maniera
intenzionale e sistematica. Spavalderia, arroganza, sfrontatezza, sopraffazione,
con violenze fisiche e psicologiche attuate specialmente in ambienti scolastici
o giovanili. Una volta, fra i militari esisteva anche il nonnismo.
Oggi è una forma di teppismo
soprattutto digitale, ben più deleterio di quello fisico e diretto, perché
agisce lentamente e scava e corrompe l’autostima del malcapitato.
Ai miei tempi, con una
catartica scazzottata fra maschi si risolvevano tanti problemi di leadership e
di giustizia di gruppo e di quartiere, senza prevaricare o insultare mai le compagne
e le fanciulle.
Alle tradizionali forme che esso poteva assumere - non ultima,
la difesa del più fragile ed emarginato - si è quindi aggiunto il cyberbullying, grazie
alla maggiore diffusione delle nuove tecnologie che segnano i ritmi della vita
quotidiana: tra i giovani, il fenomeno è diventato multidimensionale e virale.
Le spiegazioni vanno ricercate nelle caratteristiche individuali dei bulli e
delle vittime, nelle relazioni familiari, nelle provenienze culturali, nelle
differenze sociali e di classe, nell’organizzazione del sistema scolastico. Di
questa complessità devono necessariamente tenere conto i progetti di
prevenzione e intervento.
Nei rapporti tra coetanei,
ogni comportamento violento e pervasivo può determinare conseguenze
psicologiche, gravi e durature: umiliazione, depressione, insonnia, disturbi
psicosomatici, isolamento e ansia sociale, istinti suicidari.
E’ un abuso sistematico di
potere, un desiderio di intimidire e dominare. Da ciò, spesso, nascono o
derivano reati come lo stalking, la diffamazione, il razzismo, le ingiurie e
molestie che portano all’esasperazione totale della vittima.
Quanti giovanissimi sono oggetto di vessazioni continue e
prepotenze tramite Internet o il telefono? Quanti soprusi, offese, pesanti
soprannomi, derisioni per l’aspetto fisico o per la cadenza e il modo
di parlare, o per opinioni e abbigliamento retrogradi e troppo tradizionali si
consumano nelle aule, nei luoghi di incontro e, soprattutto, on line?
Anche gli atti di bullismo
diretto, caratterizzati da un contatto fisico tra la vittima e bullo, come aggressioni,
spintoni, botte, calci e pugni non sono quasi mai denunciati da chi ne è vittima
e per questo se ne parla poco o niente, anche se sono molto più che frequenti.
La famiglie, che spesso
esprimono uno stile educativo prevalentemente permissivo e tollerante, sono pronte
a soddisfare tutte le richieste dei figli, ma non offrono adeguato controllo e
attenzione al comportamento degli stessi, in casa e fuori.
La troppa e scontata indulgenza
non aiuta il bambino a sviluppare valori di correttezza, rispetto e tolleranza e
ciò, insieme ad altre caratteristiche personali, può creare molta difficoltà
nella gestione di sé e delle proprie azioni, anche e soprattutto fuori del contesto
familiare e, quindi, portare ad assumere condotte brutali e aggressive.
Dovrebbero forse
intervenire con più coraggio e determinazione, senza aspettare che la scuola, espressione di
una società più che prepotente, faccia impossibili miracoli e che qualche
infelice dodicenne, lanciatasi nel vuoto, si salvi solo grazie a una tapparella
casualmente aperta.
Anche perché un figlio bullo non è un vincente o un paraculo,
è solo un miserabile vigliacco.
19 gennaio 2015 (Alfredo Laurano)
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