Nel palazzo di Montecitorio, cori da stadio, urla, battute,
slogan, magliette e rumori, esibiti dalle opposizioni.
Fuori, nella piazza, altri fascio-leghisti urlano,
insultano e protestano, guidati dalla abbaiante Meloni, da Toti e da Salvini,
che, fra striscioni, cartelli, tricolori e saluti romani, parlano di truffa
politica, di furto di democrazia (?), di fabbriche di poltrone e sofà nel nuovo
governo giallo-rosa Bis-Conte.
Dopo l’inutile e ingenuo suicidio politico di capitan
Cocoricò, che sperava e contava di andare a elezioni - proprio per aumentare ipocritamente
il proprio numero di quelle poltrone - questa nostalgica parte politica del
Paese non sa più che fare, come muoversi, come rassegnarsi, come sperare o
rimediare al colpo di sole agostano. Intanto, “facimo ammuina”, per restare nei
titoli, nell’attualità e non perdere altri consensi.
Come scrive l’antropologo Marco Aime, a metà degli anni
Settanta, Pier Paolo Pasolini propose più volte nei suoi scritti l’espressione
divenuta poi celebre di “mutazione antropologica”, con cui voleva segnalare un
profondo mutamento culturale che stava avvenendo nel nostro Paese. Il bersaglio
principale di Pasolini era il borghese, l’uomo medio, “un mostro, un pericoloso
delinquente, conformista, razzista, schiavista, qualunquista” come dice un
personaggio del film La ricotta.
Oggi, senza temere l’accusa di essere buonisti, snob o
radical-chic, ci ritroviamo a riflettere su quella che forse è un’altra
mutazione antropologica, forse in continuità con quella pasoliniana: il
riproporsi dell’eterno fascismo di cui lui parlava spesso.
Quei cori inneggianti al duce, quegli slogan fascisti, quei
saluti romani visti davanti al Parlamento ci inducono a considerare come sia
cambiato il nostro Paese. Come, per certi versi, si stia assistendo a una
pericolosa regressione storica, legata a una mancanza di memoria.
Sovranisti in piazza contro il governo Conte due, tra Inno
di Mameli e nostalgie di regime, con espressioni e frasari retorici e posizioni
esplicitamente autoritarie o razziste - oggi ancora possibili perché in qualche
modo si sono ridotti quegli anticorpi che ogni società democratica deve
contenere in sé, perché le cose non degenerino - ma che non sarebbero stati
tollerati in precedenza, soprattutto da donne e uomini delle istituzioni.
E’ il fascismo eterno da cui Umberto Eco ci mise in guardia,
che va ben oltre la pagliacciata del saluto romano. E' uno stato d'animo, è una
condizione sociale in cui governati e governanti si incontrano e stringono un
patto che di volta in volta assume sfumature diverse, mantenendone gli
archetipi.
Ignoranza e malafede di certe fasce di elettorato e di certa
politica becera, abbruttita ed abbruttente, sono un mix micidiale.
La mutazione in atto è, in realtà, un'involuzione di
civiltà che nasce dal rifiuto della conoscenza della propria storia e dei
valori morali e costituzionali su cui è stata edificata la nostra Repubblica.
La mutazione è quella dei sedicenti laureati su Google, di
quei patetici tronisti da social che sbavano per i like, di tutti quei
poveretti/e che anelano a prolungare il più possibile il loro quarto d'ora di
fittizia e caduca notorietà, esibendo slogan muscolari da arditi guastatori: un
fenomeno post-moderno di istupidimento di massa.
In questo vuoto storico, ideologico e morale di valori sani,
un timido segnale arriva, tuttavia, dalla chiusura delle pagine Facebook e
Instagram di Casapound e Forza Nuova. Un segnale che deve far capire e
ricordare che l'apologia di fascismo in Italia è reato.
Purtroppo non è solo un deficit della capacità di ricordare
o di voler conoscere, quello che, oggi, per motivi prettamente anagrafici,
comincia a colpire le nuove generazioni. E’ una problematica legata all'imbarbarimento
della nostra società e al razzismo diffuso, come ha detto in Aula la senatrice
a vita Liliana Segre - superstite dell'Olocausto e attiva testimone
della Shoah italiana.
Dall'era berlusconiana ad oggi, con colpe ben distribuite
in tutto l'arco costituzionale, sono stati sdoganati comportamenti e linguaggi che
invece dovrebbero essere combattuti aspramente. Politici, analisti, opinionisti,
mediocri “giornalai” e furbi demagoghi, che infestano questi nostri tempi, ne
fanno largo uso nei talk, sui social e sulla stampa e l'opinione pubblica, sempre
più confusa e disorientata, ne assume tutti i caratteri più deleteri.
E, troppo
spesso, si iscrive nelle sovrabbondanti liste di quelli che “non si
occupano di politica”, dei
disinteressati, degli apartitici e degli astensionisti.
12 settembre 2019 (Alfredo Laurano)
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