In un quartiere complesso come Scampia, accettare certe
regole è molto difficile, soprattutto per i ragazzi, che spesso confondono
l’idea di libertà con quella di comoda indifferenza e di menefreghismo. Ciò
limita, peraltro, anche le potenzialità di ciascuno.
La preside dell’Istituto Comprensivo di Scampia a Napoli è
sotto attacco, soprattutto sui social e sulla stampa, per aver proibito l’ingresso
a scuola a un allievo 13enne, che si è presentato con la testa rasata e una
cresta blu elettrico (dread), con annesse treccine d’ordinanza.
Come sempre, come inevitabilmente accade quando c’è la
possibilità di strumentalizzare un qualsiasi fatto, una dichiarazione, una
posizione, un’iniziativa, anche coraggiosa, ne è nato un gran polverone
mediatico. Inevitabilmente. E giù critiche, accuse, insulti, pesanti offese.
La dirigente, finita nel mirino dei benpensanti e dei
libertari da salotto stinto, ha deciso che quel look violava il dress code
previsto dal Patto di Corresponsabilità, firmato dai genitori degli alunni. In pratica,
esiste un codice di abbigliamento che va osservato in certi contesti e
situazioni (cerimonie ufficiali, funerali, incontri di lavoro), un insieme di
regole spesso tacite, ma in generale risapute ai più. Osservare un determinato
profilo, richiesto per le varie occasioni, è innanzi tutto sinonimo di rispetto
verso il prossimo.
L’originale acconciatura del ragazzino, che voleva essere
più fico che non si può, nella sua scuola non è permessa come non sono permessi
anche shatush, jeans strappati, pance ed ombelichi a vista, tanga sporgenti
dalle chiappe, microgonne, trucco da drag queen, maglie e felpe con simboli che
inneggiano alla violenza e così via. Per non parlare di piercing primitivi e
tatuaggi total body da coatti disperati senza fine.
Ci sono criteri e principi che devono valere per tutti e
alunni, docenti e i genitori le conoscono.
“Solo così gli studenti imparano oggi quello che servirà
loro domani”, sottolinea la preside, da 36 anni alla guida dell’istituto
Alpi-Levi di Scampia. “Immagino i miei
alunni come futuri professionisti e dirigenti. Potranno mai andare a lavorare
con treccine blu? Non credo proprio. Un giorno saranno avvocati, infermieri, operai,
medici, bancari e sapranno che esistono norme da rispettare”.
In altre parole, dietro ogni regola c’è un valore
formativo: è necessario dare strumenti agli alunni per volare alto, per imporsi
in un mondo dove spesso la forma e le mode prevalgono sulla sostanza, in un
sistema di valori alterati nella miseria quotidiana. Soprattutto in una scuola
pubblica, che deve invece educare alla libertà di pensiero, alla responsabilità
e al rispetto, soprattutto, quando non lo fa la famiglia, per negligenza, impreparazione,
incapacità e indifferenza.
Ovviamente, ognuno è libero di vestirsi come vuole, quando
non risulti evidentemente offensivo per l’altrui pudore. Basti pensare a certe
forme estreme di abbigliamento nel mondo musulmano, soprattutto femminile.
Ma, in ogni caso, non è quella cresta da gallo variopinta (da
audace calciatore o artista fai da te) che esprime la nostra personalità, la
nostra dimensione umana, la nostra eventuale quota di valore morale,
intellettuale o professionale, anche e soprattutto a livello giovanile.
E quella preside, che lavora con passione e che si espone
in prima persona, l’ha capito e cerca di insegnare ai ragazzi quello che i
genitori di oggi, troppo spesso, dimenticano di fare. (Alfredo Laurano)
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