Nonostante il ridicolo tentativo di
arrampicarsi sugli specchi di un'improbabile verità, da parte dei consulenti
della difesa, sembra assodato che Marco Vannini si sarebbe potuto salvare, se
soccorso tempestivamente. I Ciontoli, invece, come è ormai noto, lo hanno
lasciato agonizzare, tra indicibili lamenti, fino alla morte.
Lo hanno stabilito le dettagliate perizie
dei medici legali, illustrate anche da crude immagini, nell'udienza di oggi del
processo Vannini.
Ma anche se di ciò non vi fosse certezza o,
addirittura, per assurdo, si avesse la prova del contrario - cioè che nulla si
potesse fare e che il povero ragazzo sarebbe morto comunque - le colpe
criminali di quel clan sarebbero minori, più lievi o quasi inesistenti?
Sarebbero forse innocenti, in quanto spettatori
casuali di una tragica disgrazia, o non tutti complici di un efferato omicidio?
Forse, in parte, per stabilire l'entità
della condanna.
Ma, al di là di come si sono realmente
svolti i fatti, niente cambierebbe, sul piano morale e giuridico, delle loro
precise responsabilità o perdonerebbe l’incomprensibile comportamento disumano
di cinque persone adulte, capaci di intendere e volere, sia pur prese da panico
e paura.
Imperizia, malafede, calcolo, leggerezza,
superficialità: nessuna cosa al mondo potrebbe mai giustificare quegli esiziali
ritardi, quelle gravissime omissioni e quei maldestri tentativi di vile depistaggio.
Nulla li assolverebbe dai loro misfatti, dalle
loro nefandezze.
13 marzo 2017 (Alfredo Laurano)
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