Non molti anni dopo la lunga
seconda guerra mondiale, le città devastate, i cumuli di macerie, i milioni di
morti, di rifugiati, senza casa e senza niente, le intenzioni dei padri
fondatori dell’Europa, che nel 1957 firmarono i trattati di Roma, erano
certamente nobili e assai diverse da quelle che, fino ad oggi, si sono
realizzate nel progetto di costruzione di un’Unione, alimentata da venti di
discordia e scelte discutibili e sempre più minata da dubbi, prepotenze e
sfiducia popolare.
Ben lontane anche dai
propositi di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, reclusi negli anni del fascismo
in una piccola isola del Mediterraneo, dove, idealmente, l’Europa nasceva e già
si respirava. Insieme a tanti altri confinati, a Ventotene, sognavano un futuro
diverso, senza guerre, prospero e di pace.
Sessant’anni dopo, quei
trattati hanno rinnovato l’impegno sulla carta, ma si sono celebrati con non
poca ipocrisia. I leader europei nella sala degli Orazi e Curiazi del
Campidoglio, davanti al documento del '57, hanno sottoscritto una dichiarazione
congiunta per rilanciare nei prossimi 10 anni l'integrazione comunitaria.
Ma in quest’Europa dominata
dalle banche, dalla finanza e dai mercati e regolata da trattati ingiusti - da
Maastricht, al Fiscal Compact, a Dublino - dall'austerità, dai riemergenti
nazionalismi, non c’è al momento spazio per valori autentici, come apertura,
solidarietà, tolleranza, libertà e democrazia, che le consentirebbero di fare
un vero salto di qualità. Diseguaglianza, paura e insicurezza sociale, diffuse
a piene mani da politiche repressive e atti inadeguati, producono culture di
respingimenti e movimenti reazionari. Ma anche tanta precarizzazione del
lavoro, ricatti e discriminazione di donne e di giovani, che crescono invece a
dismisura, come la povertà e l’emarginazione. Si moltiplicano razzismi, muri,
frontiere e fili spinati: i migranti sono le prime vittime, insieme alla
democrazia e ai diritti.
Non c’è più tempo per le
chiacchiere e le dichiarazioni di facciata e convenienza: chi ha responsabilità
ed è cosciente del pericolo deve ripensare i principi base dell'Unione, deve
scegliere, deve mettersi in gioco, deve rilanciare in una nuova dimensione. Le
troppe crisi ai confini, il terrorismo, la globalizzazione, impongono scelte
cruciali e indifferibili.
Bisogna abbattere
i muri. Quelli fisici e quelli dell'odio e della paura.
Così come bisogna
abbattere i muri della austerità, del debito, della finanza, del pensiero
unico. E quelli che impediscono ad
una intera generazione di giovani di affacciarsi con pienezza alla vita. Altro
che generazione Erasmus: questa è la generazione dei precari.
In una bella giornata
“storica”, di primavera, la festa c’è comunque stata: sorrisi, bandiere, foto,
abbracci e strette di mano nel piazzale michelangiolesco.
In una Roma assolata e
blindatissima, tra scorte e rigidi controlli delle forze dell'ordine che hanno
presidiato tutta la città, i 27 leader europei hanno firmato il nuovo accordo
per l’Europa futura, che ha visto la Polonia e la Grecia di Tsipras, già
provata da tanta austerità, chiedere qualche modifica al testo prima di
sottoscriverlo.
Anche i vari cortei di
contestazione e in dissenso si sono svolti e, nonostante i timori della
vigilia, il clima di tensione e gli annunciati, possibili disordini, hanno
sfilato senza incidenti, per le vie della capitale, controllate da cinquemila
agenti: quasi più degli stessi manifestanti.
Tuttavia, il sentimento
critico verso questa attuale Ue, a doppia velocità, non si esprime solo
attraverso le mobilitazioni nelle strade. La fiducia appare in declino quasi
ovunque e un'insofferenza diffusa attraversa tutti i Paesi che ne fanno parte,
vecchi e nuovi, alcuni dei quali rischiano di diventare colonie o protettorati
dell'arroganza di quelli più economicamente forti.
Non a caso, i partiti
euroscettici o apertamente anti-europei hanno assunto proporzioni sempre più
ampie. Per otto cittadini su dieci, l'Unione Europea è un obiettivo giusto, ma realizzato
in modo sbagliato.
"E' una commedia degli errori, una tragedia greca. Noi siamo semplici
spettatori delusi”, afferma con amarezza Yanis Varoufakis, ex ministro greco delle finanze.
Se davvero questo progetto -
ancora sulla carta e più sognato che reale - vuole perseguire l’integrazione
degli uomini e diventare l’Europa dei popoli, deve decidere da che parte stare
e come agire al bivio: fra la salvezza delle vite umane o quella delle banche,
fra la piena garanzia o la progressiva riduzione dei diritti universali, fra la
pacifica convivenza o le guerre, fra la democrazia o le dittature.
I cittadini devono poter
decidere e le politiche non devono essere imposte dall’alto, ma rappresentare
la volontà popolare, nel rispetto delle identità nazionali.
Come ha ricordato il sindaco
di Roma nel suo discorso: “L’Europa o è
dei cittadini o non è Europa”.
26 marzo 2017 (Alfredo
Laurano)
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