Una cosa è ormai certa: gli italiani, ma
non solo, amano Salvo Montalbano, la creatura nata dalla fantasiosa e
intrigante penna di Camilleri, che conoscono anche in Giappone.
Il commissario supera ogni record: con “Cosi vuole la prassi”, l’ultimo
episodio l’altra sera, su Raiuno ha fatto oltre il 44% di share, con 11,3
milioni di spettatori. “Il covo di vipere”,
una settimana fa, aveva raggiunto il 40,8 pari a 10,7.
E’ un amore che dura da diciotto anni, da
quando Luca Zingaretti ne vestì per la prima volta i panni in TV - diventando presto
un’icona nazional popolare - e che, da allora, non conosce crisi. Senza parlare
del progressivo successo dei romanzi scritti sulla carta, poi sceneggiati e
diventati quasi tutti film.
Ovviamente, tutto nasce da una narrativa
eccellente, puntuale e rigorosa che trasforma la scrittura in straordinarie
immagini e parole e poi in sequenze della macchina da presa, dove suoni, luci,
colori, e quasi anche i sapori, si lasciano facilmente cogliere ed apprezzare.
D’altro canto, Camilleri racconta storie
vere, possibili, a volte molto crude e con qualche sfumatura surreale, magari
legate a un certa mentalità locale o provinciale che distingue, con nettezza
antropologica, i tanti aspetti contraddittori e volubili della condizione
umana: violenza, prepotenza, diritti, abusi, sesso e sentimenti, usanze e
tradizioni, ricchezza e povertà, tra nobili e plebei, mafiosi e umili travagliatori.
Ma su tutto, prevale il principio di
giustizia.
Montalbano è il rappresentante classico di
un mondo ideale fatto di valori ed equità, che insegue il bene e l’onestà, che riflette
emozioni, ansie e desideri e qualche brivido che non guasta.
Al di là del giallo, c’è la vita di tutti i
giorni, la quotidianità, gli affetti, l’impegno, il lavoro e qualche diversivo,
come il buon cibo, gli arancini di Adelina, il caffè sulla mitica terrazza, la
nuotata del mattino nel mare limpido di Punta Secca, il profumato pesce
mangiato in trattoria, in riva al mare. Invidiabili atmosfere, pennellate di
normalità.
Insomma, un mondo a misura d’uomo, dove il buono vince e il malvagio soccombe,
e che in teoria può essere di tutti, un po’ pigro e abitudinario, ma che lascia
anche pensare.
Il nostro mondo o quello che la gente cerca
e spera di trovare.
Per tutto questo Montalbano piace e non va
in pensione, anche per non lasciare altro spazio al tutto trash, alle Isole
famose, ai grandi e stupidi fratelli, alle finte risse da malfamata osteria
televisiva.
Naturalmente, molto del successo è dovuto
anche alla bellezza delle ambientazioni, alla invidiata tranquillità dei ritmi di
paese, al sottile elogio della lentezza consapevole, contro chi sceglie il
vivere veloce, al silenzio parlante di quei luoghi suggestivi, quasi disegnati.
Tutti scorci di pregevole pittura, scenografie
da sogno, veri set a cielo aperto, che brillano di luce propria.
Dalla singolare, immaginaria cittadina di Vigata,
formata da pezzi di Modica, di Scicli, di Ibla, centro storico di Ragusa, e
della sua Marina, fino alla Valle dei Templi di Agrigento, tra le colonne
doriche.
I personaggi, sia quelli fissi e mitici -
ormai diventati amici o quasi persone di famiglia - che quelli di ogni singolo episodio,
sono sempre sovrapposti agli attori che li interpretano: aderenti e assai
credibili, dai volti giusti e dalle movenze naturali, umani, capricciosi,
singolari o stravaganti, a volte anche troppo, in grado di creare una costante
di immediata riconoscibilità.
Come le stesse trame, avvincenti e tessute
con pazienza e meticolosità, e i dialoghi asciutti, diretti ed essenziali,
esaltati da un vernacolo, originale e divertente, che va oltre il classico
dialetto siciliano.
“Il
commissario Montalbano sono”,
per esempio, non è un eroe, è un uomo intelligente, onesto, integro, un po’
introverso, ma ricco di fiuto e di rara umanità. Non ama le armi, l’apparato e
la burocrazia, è sufficientemente coraggioso e predilige, quando può, i piaceri
della vita.
Tra i suoi più stretti collaboratori, il
suo vice Domenico Augello, detto Mimì, amico ed impenitente
"fimminaro" indolente e l'efficientissimo ispettore Fazio, serio, solerte,
riservato, fidatissimo e capace di anticipare ogni possibile richiesta del suo
commissario. L’affezionato agente Catarella, simpatica macchietta di
centralinista, che parla un linguaggio assai contorto, che storpia i nomi e i fatti
che riporta, un po’ maldestro ed arruffone,
“domando perdonanza, dottore: mi
scappò (la porta)”, ma sorprendentemente abile nell'uso del computer.
E il medico legale dottor Pasquano, poco
socievole e spesso di cattivo umore, che si sfonda di dolci, forse per compensare
gli orrori del suo mestiere, ma che alla fine risponde utilmente alle domande
dell’amico poliziotto, anche se gli rompe ogni volta i cabbasisi.
Attorno ad essi, ruota, di volta in volta,
una variegata galleria di altri ben caratterizzati protagonisti, eccentrici o
comuni, che si trovano a vivere casi di malaffare, di sfruttamento, di incesto,
di disumanità o di inaudita violenza, come l’ultimo, che turbano, non poco, la
sensibilità di lettori e spettatori e lasciano aperti molti interrogativi.
Anche, e soprattutto, quando la voglia di giustizia,
ostaggio del potere, sembra non poter sempre trionfare.
7 marzo 2017 (Alfredo Laurano)
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