Morire a tredici anni per un selfie è
qualcosa di indefinibile.
Di assurdo, di incredibile, inconcepibile, irrazionale:
trovate voi l’aggettivo giusto, anche se uno solo non basta, non descrive.
Ma è anche e soprattutto una bestemmia
contro la vita, un insulto all’evoluzione, una contraddizione della logica, un paradosso
del nonsenso, inaccettabile e inammissibile e, per certi aspetti, anche
ridicolo.
Fino a qualche anno fa, diciamo una
ventina, fotografie e film in superotto si stampavano e costavano parecchio. Si
scattavano, con parsimonia, in occasione di gite, vacanze, cerimonie, nascite,
feste e compleanni.
Ora, grazie alla tecnologia digitale, se ne
fanno a camionate in ogni possibile occasione, dagli animali, alle strade di
quartiere, ai piatti di cucina.
Ma anche per documentare qualsiasi momento
quotidiano: personale, familiare, di cronaca, di incontri, di visite e ricordi
o per catturare situazioni imbarazzanti, per deridere qualcuno, per bullismo,
per vendette sentimentali, sputtanamenti, stalking e persecuzioni varie.
Il tutto da far finire poi,
orgogliosamente, sulle straripanti pagine dei social network, con conseguenze
che ormai ben conosciamo: isolamento, fughe, depressioni, disagio sociale,
possibili istigazioni al suicidio.
Siamo all'uso folle, massivo, improprio,
insensato e pericoloso della nobile arte della antica dagherrotipia.
Fino ad arrivare al tragico passatempo di
tre ragazzi, forse una gara di temerarietà e resistenza: scattare un selfie con
alle spalle un treno in corsa, da condividere poi ad oltranza, una terribile,
nuova moda choc piuttosto diffusa, pare, tra i ragazzini, anche in Italia.
E’ questo il gioco perverso che ha ucciso un tredicenne di un paesino del Catanzarese, travolto nei pressi della stazione di Soverato.
E’ questo il gioco perverso che ha ucciso un tredicenne di un paesino del Catanzarese, travolto nei pressi della stazione di Soverato.
Si stava sfidando a colpi di selfie con due
amici, nati come lui nel 2003, su un noto ponte di ferro, in un tratto della
ferrovia che corre in aperta campagna, priva di illuminazione, ma ottima come
sfondo. Troppo concentrati sugli schermi dei loro cellulari per rendersi conto
della velocità con cui stava arrivando il treno.
Quando è giunto l’intercity Taranto–Reggio
Calabria, in due sono riusciti a scansarsi, il terzo no. Attardatosi sui
binari, il suo corpo è stato colpito e sbalzato a decine di metri dal punto di
impatto. Gli amici che erano con lui non hanno potuto far altro che restare a
guardare, inorriditi, e poi fuggire.
I giochi estremi, volutamente mirati alla originalità,
all’esibizionismo e alla trasgressione - soprattutto erotica e sportiva - non
sono mai mancati, e forse mai cesseranno, nel comportamento umano d’ogni tempo.
Sono forse connaturati, a livelli vari, alla
psicologia dell’animale uomo, ai suoi istinti di libido e volontà, determinati dal
conflittuale dualismo fra eros e thanatos, e praticati da giovani e adulti, in
cerca di emozioni forti e farneticanti prove di coraggio, audacia e spavalderia.
Sono comunque determinati da scelte e abitudini
sociali, espressione di una società che cambia e impone sempre nuovi modelli di
riferimento e di tendenza.
In particolare agli adolescenti che, per non
essere aut, ma adeguati al trend, in assenza di un’educazione familiare spesso rimasta
al palo, hanno continuo bisogno di visibilità e di conferme. Li adottano a
piene mani, ritenendoli validi e normali, in quanto creati dagli adulti.
Ma, alla fine, si rivelano solo scommesse di
stupidità, senza limiti ed età.
Quando accadono tragedie come questa, grande
tristezza e senso di vuoto colpiscono duramente la sensibilità di tutta una
comunità, che si sente coinvolta e vicina ai diretti famigliari. Ma poi, subito
dopo, si dimentica e si va oltre. E tutto ricomincia, tutto accadrà di nuovo, si
ripeterà identico o in altro modo, o sotto altre forme o situazioni.
Se un ragazzino di 13 anni muore in questa folle
circostanza, le colpe vanno ricercate altrove, non nella vittima, ma nel mondo che
gli abbiamo confezionato, che stiamo costruendo per i nostri figli e per le
future generazioni.
Occorre interrogarsi sulle nostre responsabilità,
a livello di scelte sociali, politiche, industriali ed economiche, su scala
internazionale. Su quanto ci adoperiamo per cercare di migliorare questa
società malata e su quanto abbiamo contribuito a renderla così stupida e
inumana.
(Alfredo Laurano)
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