L'Occidente "si faccia gli affari
suoi", dice il nostro vicino Erdogan, dopo aver arrestato migliaia di
militari, poliziotti, magistrati, docenti e rettori universitari e anche
un’altra cinquantina di giornalisti - fra cui Nazli Ilicak, 72 anni, veterana
del giornalismo turco, che da sempre difende la democrazia - accusati di aver
appoggiato Fethullah Gulen, il presunto ispiratore del golpe fallito e primo
nemico di Ankara.
Dopo i diciottomila fermati, è la libertà di
stampa a finire pesantemente nel mirino della repressione. Chiusi oltre 130
media, fra cui 16 reti televisive, 23 radio, 45 quotidiani, 15 magazine e 29
case edititrici. Revocati 50 mila passaporti, per timore di una fuga
all'estero dei ribelli.
Il despota
della mezza luna, sta attuando una “necessaria
pulizia" all'interno di tutte le istituzioni dello Stato, per liberarle
dal "virus" della rivolta e con la pretesa di sterilizzare la società
infetta: il potere si consolida e si rafforza, spaventando i sudditi.
La politica è
consegnata in caserma, Istanbul è
presidiata da duemila uomini dei reparti speciali, i caccia pattugliano lo
spazio aereo delle città, gli elicotteri militari non possono decollare senza
il permesso del premier.
Poche ore
dopo il fallito golpe, avevamo già visto centinaia di uomini ammassati sulla
sabbia di una palestra militare, a torso nudo, piegati in avanti a causa delle braccia
ammanettate dietro la schiena, costretti
a stare in mutande e a capo chino come bestie.
Mentre i sindacati
della stampa si mobilitano a sostegno dei giornalisti arrestati e imbavagliati, resta molto vaga, come dice Michele
Serra nella sua “Amaca”, la possibilità di spacciare per "legittima
difesa" di una democrazia scampata a un golpe, la chiusura di tante voci
libere e la brutale cancellazione dei diritti democratici, già poco saldi prima
del tentativo militare. Un Paese dove si ammanettano, come delinquenti, i
giornalisti di opposizione non è un paese libero e segnala il grado di libertà
di una comunità.
Non si ferma
quindi la dura repressione voluta
dal novello dittatore, che ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale, sospendendo fino a tre mesi la Convenzione
europea dei diritti dell'uomo.
In Turchia
sta tornando il terrore dello stalinismo, delle deportazioni e le uccisioni di
massa della grande purga sovietica. O della garrota di Franco per i dissidenti spagnoli
o il soffocamento della protesta di Tienanmen in Cina o delle retate, delle
persecuzioni e dei delitti orrendi dei naz-fascisti del ventennio.
E l’Europa sta a guardare, anzi - in assenza di una chiara e
definitiva revoca degli accordi - si prepara ad accogliere tra le sue braccia
tanta democrazia.
1 agosto 2016 (Alfredo Laurano)
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