Un Cristo ligneo, senza la sua croce persa nei crolli,
appeso, quasi impiccato, con le funi al grande tetto della struttura costruita
dai vigili del fuoco e una Madonna su un piedistallo di pietre e detriti - entrambi
recuperati tra le macerie - sono stati i simboli religiosi di una chiesa
provvisoria, che ha celebrato ieri i funerali di una parte delle tante vittime
di Amatrice.
Nel cortile del complesso don Minozzi, due o tremila persone,
con il volto segnato dal dolore e dalle lacrime - alcune sedute o inginocchiate
accanto alle bare dei propri familiari perduti - i soccorritori, i volontari, i
sindaci dei paesi colpiti e i rappresentanti delle istituzioni.
Ci sono tutti: il sobrio e schivo capo dello stato, che
conforta e si intrattiene con parenti e sopravvissuti, i presidenti di Camera,
Senato e Regione, il premier con la moglie, la sindaca di Roma, Di Maio,
Fassina ed altri, tutti in piedi e confusi, per la prima volta, tra i comuni
cittadini. Le telecamere della diretta facevano fatica a scorgerli.
Tutti hanno ascoltato l’omelia dell’officiante vescovo di
Rieti, che ha ricordato, tra l’altro, che
“i terremoti
esistono da quando esiste la terra. I paesaggi, le montagne, l'acqua dolce,
tutto è dovuto ai terremoti. Neanche l'uomo esisterebbe senza i terremoti, il
terremoto non uccide. Uccidono le opere dell'uomo".
Accanto al vescovo, c'è anche il monsignore elemosiniere,
inviato dal papa, e altri prelati che celebrano la funzione, che distribuiscono
le ostie, benedicono e incensano i feretri.
Dietro di loro, oltre l'altare, si
vede lo scorcio di un tetto crollato su una casa.
E dietro ancora, gli alberi, i monti e le valli, sotto una
battente pioggia e tanta commozione.
Sono arrivati in tanti per la messa funebre, dai paesi
vicini, da quelli più distanti, da Roma.
Andate in pace, la messa è finta.
Piange il sindaco di Amatrice, dopo il suo sentito ricordo,
molti si abbracciano, mentre si levano in cielo tantissimi palloncini bianchi.
Intanto, la magistratura ha cominciato la caccia alle
responsabilià e alle omissioni degli uomini che hanno costruito con la sabbia,
eludendo norme e disciplinari antisismici, che hanno cementato e appesantito i
tetti, crollati sulle case, e non le case stesse, che hanno visto sbriciolarsi
una scuola di recentissima fattura, mentre la torre civica del duecento restava
magicamente in piedi, segnando l’ora del disastro.
Ci sono i soldi, ricostruiremo tutto, non sarete soli, non
vi abbandoneremo, promette il capo del Consiglio, ma quel che conta lo diceva
Pertini, quando accorse in Irpinia, dopo il terremoto, "Avete ragione, non servono le parole, conteranno solo i fatti”.
31 agosto 2016 (Alfredo
Laurano)
Nessun commento:
Posta un commento