Il burkini è un capo d'abbigliamento che, come il burqa e il
niqab, è una gabbia per le donne e umilia pesantemente il loro corpo.
“Non è un costume, ma
è l’espressione di un’ideologia basata sull'asservimento della donna”, ha
detto Valls in Francia.
Quindi, se il medium è il messaggio come affermava Mc Luhan,
anche l'abito assume un forte significato nella comunicazione non verbale e può
diventare strumento di provocazione e sfida nel villaggio globale.
Immaginiamo, per esempio, i padani vestiti da barbari con le
corna sull'elmetto o i naz con le svastiche e le camicie nere passeggiare sul
bagnasciuga o sul lungomare. Anche costoro esprimerebbero la loro
discutibilissima cultura.
Il burkini è un simbolo religioso, usato per affermare
un’appartenenza culturale, sociale e politica: indossarlo non è frutto di una
libera scelta femminile, ma di una costrizione fondamentalista e non aiuta
certo la liberazione e l'emancipazione delle donne musulmane, né favorisce
l'integrazione nei Paesi laici in cui vivono, prigioniere della propria cultura
coranica integralista.
Offende i diritti di tutte le donne, tanto faticosamente
conquistati. Diritti di cui possono godere, in teoria, anche le donne
dell'Islam.
(Alfredo Laurano)
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Il problema, infatti, è proprio questo: ogni donna dovrebbe
avere la libertà di gestirsi, di poter scegliere il proprio credo, il proprio
modo di vivere e pensare, il proprio abbigliamento, senza essere frustata,
lapidata, emarginata.
Per le donne islamiche questa opzione non esiste affatto:
sono vittime e schiave, più o meno consapevoli, di una legge divina e
teocratica che non rispetta la vita su questa terra, dove la sovranità è
esercitata direttamente da un dio, storicamente identificato, attraverso il
governo di uomini (profeti e sacerdoti), considerati interpreti, devoti e
attendibili, della stessa volontà divina. Fino alla repressione, alla lotta e
allo sterminio degli infedeli, con ogni
mezzo e modo (terrorismo), allo sfruttamento e alla sottomissione delle donne,
al proprio martirio per fini escatologici.
Scrive un amico: “noi occidentali non capiamo quanto conti la tradizione e la religione
per gli islamici, non abbiamo nessun valore così forte e radicato che non possa
essere "estirpato" facilmente. Per noi la religione conta meno di
niente. Capirai che fatica non aderire alle regole cristiane.”
E per fortuna siamo così! Per fortuna non veneriamo idoli e
falsi miti!
Lo capiamo bene proprio perché, pur provenendo da una
tradizione cristiana e papalina, siamo un Paese libero e laico, dove la
religione resta una scelta e una libera opzione e occupa un suo spazio autonomo
- anche se spesso assai politicamente invadente - e, oggi, non impone dogmi e
comandamenti a chicchessia.
Siamo frutto dell’Illuminismo e del trionfo della ragione
sulla barbarie, della liberazione dal fascismo e dal pensiero unico, della
concezione materialistica e dialettica della Storia, dove l’uomo non è la
rappresentazione di se stesso, ma lotta e si evolve per la sopravvivenza,
realizzando un percorso di vita fondato sulla socialità , sui bisogni e sul
loro soddisfacimento.
Prima o poi - forse fra molti decenni e molte generazioni e
anche grazie alla potenza della tecnologia e delle rivoluzioni mediatico-culturali
- anche gli islamici avranno un loro “secolo dei lumi” e le donne potranno
praticare liberamente il naturismo. (A. La.) 19/8
Qualcuno dice: "sono fatti loro!"
Non sono per niente fatti loro, perché da tempo il mondo
è diventato il villaggio globale. Non a caso si dice che "il minimo
battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall'altra
parte del mondo”.
Ogni nostra azione corrisponde a una conseguenza
futura. Ogni decisione che prendiamo può determinare un’infinità di possibili
avvenimenti che possiamo prevedere solo in parte. Ogni piccolo gesto che compiamo
può condizionare la nostra vita, ma anche la società in cui viviamo.
Basti pensare quanto l’economia mondiale sia fortemente
influenzata da qualsiasi piccola variazione intervenga nella situazione di ogni
Stato. L'aumento del costo del petrolio, per esempio, influenza i prodotti
finali intaccando i consumi della popolazione. Gli effetti e le conseguenze di
una guerra - come ben sappiamo - si ripercuotono su altri popoli e Paesi (esodi,
accoglienza, migrazioni e terrorismo).
La crescente globalizzazione amplifica questo effetto
farfalla. (A. La.) 19/8
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