Svegliarsi all’improvviso e non capire. Perché la coscienza è
ancora sopita.
Tutto oscilla e trema, un pezzo di mondo crolla in un
momento, mentre un boato trafigge l’aria e il buio della notte.
Come la guerra, come i bombardamenti: lo stesso paesaggio di
polvere e macerie, la stessa paura.
Paesi sbriciolati che non esistono più, la vita cancellata
sotto una trave, sotto un cumulo di pietre che diventa tomba.
In un istante, non hai più un letto, una casa, un tetto, un’esistenza.
Affetti, cose, abiti e ricordi si polverizzano in una
dimensione altra e sconosciuta, che non ti appartiene, che ti spersonalizza e
ti ruba i sentimenti e l’identità, di persona e di pensiero. Che ti lascia senza
nemmeno una coperta o un paio scarpe.
Tutto, intorno, valica la soglia del non essere, anche da
sopravvissuto.
Resta davvero solo il pianto e la disperazione, il senso del
vuoto e dello stordimento, l'incapacità di riflettere, di pensare a domani,
alla prossima notte, all'immediato futuro, alle persone care e alla famiglia, nonostante
il conforto della solidarietà e la condivisione del dolore.
Poi, ti accorgi quasi subito che non è un incubo notturno, che
tutto accade davvero, anche se filtrato da un fitto velo di incredulità.
Il terremoto è un volto terribile della natura che non
risparmia niente e nessuno, che non ha pietà per bambini e misericordia per gli
anziani.
Uccide umani ed
animali, distrugge abitazioni, chiese, strade, ponti ed ospedali.
Devasta l’anima.
25 agosto 2016 (Alfredo Laurano)
Amatrice prima e dopo |
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