Sono le meravigliose femmine di Carlo Grechi.
Affollano la sua isola, come nella leggenda
siciliana che battezza la sua mostra - a Palazzo Ruspoli di Cerveteri in questi
giorni - e il suo universo culturale.
Costituiscono il suo “eterno femminino”, quello che, con straordinaria sintesi, Goethe aveva
usato per indicare le peculiarità eterne, immutabili del fascino femminile, l'insieme
delle qualità di una donna, delle caratteristiche che la distinguono nel
comportamento, nell'animo, nel gusto. Ciò che di immutabile esiste nelle donne,
oltre la moda o il costume, e che la fanno femmina.
In Grechi e nella sua sensibilità pittorica,
le donne sono infatti l’essenza della femminilità percepita come mistero,
suggestione, incanto e fascino, cui l'uomo s’arrende e vi soggiace.
Come è
successo a tanti artisti, poeti e letterati, a Giosuè Carducci che, sebbene
antimonarchico, non seppe resistere all’ "Eterno femminino regale" della
regina Margherita, ponendola a modello dell’ideale femminile.
Sono, forse, anche l’espressione della sua
idea della donna, nelle sue mille sfumature.
O il suo intimo e inconfessato racconto di una
ipotetica donna ideale: nuda o vestita con abiti semplici, scalza, seduta,
china, sdraiata, silenziosa, che comunica con lo sguardo e la postura, in un
lirico linguaggio non verbale.
Straordinaria la sequenza coi gabbiani.
Straordinaria la sequenza coi gabbiani.
Sono eteree e carnali, sensuali e voluttuose,
immaginarie e reali nello stesso attimo fuggente.
Vivono
una dimensione propria, senza spazio e senza tempo, anche se rappresentate nella
quotidianità di ambienti naturali o familiari, come una casa, una stanza più o
meno spoglia, un pavimento, una spiaggia, con un gatto, un tavolo, un letto, un
libro, con un’altra se stessa o accanto a una finestra per sognare. Fanciulle
giovani, magre e senza orpelli che guardano al passato e al futuro, che si
guardano dentro per scoprirsi fragili, ma vere, in un mondo nefasto, che
osservano con distacco, anelando spazi lontani e speranze propizie.
Divinizzate, mitizzate, ossequiate, anche se
normali, per l’autore sono quasi creature superiori in un universo
contemplativo e magico, dove l’amore si unisce al desiderio. Una legittima,
piacevole e magnifica ossessione, scevra, però, da ogni e qualsiasi risvolto morboso
o patologico.
Ogni pennellata cattura un gesto, un
particolare, un’espressione che scopre la forza e la bellezza di ciascuna. Gli
sfondi, i contorni e le ambientazioni sono racchiusi nella misura di un singolo
frame e non invadono più del necessario.
Si è detto che Grechi le “sue” donne non le
dipinge solamente. Le vive e le racconta con imparzialità e con rigore.
Sulla tela o sulla carta paglia, con la
china, con l’acrilico o i pastelli, quelle figure restano sospese nel mistero
della vita, ma sono autentiche e speciali. Ombre, luci e colori intensi tracciano
la storia delle donne in ogni “inquadratura”, fino a farle diventare prima
immagine, poi simbolo universale.
L’isola dell’artista Grechi non è quella
della deriva, della prigione e delle femmine cacciate - cui pur si ispira nella
leggenda - ma un affascinante, piccolo Eden dove lo stupore e il piacere si
fondono con la spiritualità, alla ricerca di una difficile, ma forse possibile
felicità.
E quelle femmine, che quel paradiso abitano, sono
coinvolgenti, uniche, originali e non si fanno mai dimenticare.
Perché
ognuna è donna, mistero senza fine.
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