Sette mesi di una storia assurda, di vaghezza e di menzogne, di un omicidio
vile e senza senso che non ha colpevoli, ma solo indagati a piede libero.
Tragico
incidente, lite degenerata, reciproche coperture?
Nonostante le indagini, le prove documentali, le
testimonianze, le incalzanti e coraggiose trasmissioni televisive, si naviga ancora
nel dubbio e non si sa cos’è successo. Versioni nebulose e discordanti
smentiscono ipotesi assurde e dichiarazioni precedenti.
E tutto ciò è consentito da una forse eccessiva dose di
iper-garantismo.
Unica certezza il dolore di una madre, di un padre e di una
famiglia che non ha più lacrime e che si sente anche beffata, umiliata, offesa
e presa in giro.
Dietro l’apparente
normalità di una comunissima famiglia, si nasconde un carico di indifferenza, di
egoismo e di tanta, forse inconsapevole, mostruosità.
Una piccola comunità di
incapaci che pensa di salvaguardarsi, chiudendosi a riccio in un folle meccanismo
di irrazionalità e contraddizioni, che umilia e calpesta i più elementari
criteri della logica e della naturale solidarietà. Chi non è pronto ad aiutare
a rialzarsi qualcuno che è caduto o ha fatto cadere?
Si può lasciar morire, per
paura delle conseguenze, per calcolo personale, per superficialità, per
ignoranza abissale, un ragazzo di vent’anni? Sia pure colpito per sbaglio, per l’assurdo
scherzo di un imbecille da primato?
Ammessa pure la disgrazia,
il gioco o la casualità, perché fare di tutto e di più per non salvarlo?
Penso che quella
coraggiosa madre Marina e quel povero padre Valerio se lo chiederanno per tutta
la vita.
Marco Vannini è stato
abbandonato alla sua fine, vittima di uno “sfortunato
caso del destino”, come non succede neanche a un cane colpito per sbaglio
in autostrada.
Ma come possono cinque
persone - fidanzata labile compresa - anche impreparate, disorientate e prese
dal panico, non rendersi conto della gravità di una situazione che ha
dell’incredibile e che, in ogni caso, non può essere nascosta? Come si può non
chiamare subito i soccorsi riferendo l’accaduto?
Marco è agonizzante,
lucido, consapevole e chiede aiuto, mentre al 118 - che ne percepisce lo
strazio ed i lamenti - si racconta, nella seconda chiamata - mezzora prima era
stata colpevolmente annullata quella precedente - che è scivolato nella vasca, che
si è ferito con un pettine e che si è procurato un “buchetto” sulla spalla. Con
distacco, senza fretta, senza emotività, senza partecipazione.
E il tempo passa e quando
alcune ore dopo i fatti il ragazzo finalmente arriva al Pit di Ladispoli è
troppo tardi. Morirà sull’elicottero che doveva trasportarlo a Roma.
Ucciso dall’imbecillità,
dalla negligenza assassina, da un’indecente condotta che nasce dall’ apatia e
dall’ insensibilità. Dalle bugie, dai depistaggi, dalle omissioni.
E’ qualcosa di ignobile e
di immorale che non può avere neanche l’ombra di una qualsiasi, pietistica
motivazione, anche alla luce delle intercettazioni ambientali nei locali della
Procura, degli indolenti indagati che commentano i fatti, con espressioni al
limite del cinismo.
Questa tragedia,
trasformata in aberrante farsa, offende tutto un Paese che si identifica in quei
genitori disperati, che ansimano nel dubbio e nell’affanno del non sapere e del
non capire e che non si danno pace perché non trovano una sola, possibile
ragione.
E’ ora che “ ‘sta cosa esagerata che stanno a fa’ troppo
lunga” trovi la sua verità, trovi giustizia.
E’ ora che qualcuno
spieghi a Marina, a Valerio e a tutti noi il perché di quell’orrore.
19 dicembre 2015 (Alfredo Laurano)
(Rif. Omicidio Marco Vannini - Ladispoli 17.5.2o15)
(Rif. Omicidio Marco Vannini - Ladispoli 17.5.2o15)
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