sabato 5 aprile 2014

QUELLI DELLA VIA PAL


Petardi, palle di fango, carri armati di latta e scudi di cartone: sembrano le armi dei ragazzi della via Pal che giocano alla guerra fra bande, nel quartiere.

Dopo il referendum casareccio “alla vicentina”, l’episodio dei secessionisti veneti, con tanto di  ruspa al seguito “fai da te”, montata secondo le istruzioni del libretto Ikea, potrebbe far sorridere, anche se, intercettati in programmi e dichiarazioni, sono stati arrestati per terrorismo ed eversione dai Carabinieri.

Può apparire infantile o essere visto come un fatto di folclore locale ma, al di là dell’aspetto più comico e immediato del gesto e del pur sicuramente scarso potenziale sovversivo che quella minoranza regionale potrebbe mai esprimere, sarebbe da ingenui sottovalutarlo e liquidarlo come burlesco evento goliardico.

Ridurre la questione a caricatura della guerra di indipendenza non spiega l’insorgenza del fenomeno. 
E’ un problema molto serio, da affrontare con attenzione, valutando il disagio e il malessere che c’è dietro.
Quello dei veneti è il sintomo di un male più ampio che ha radici profonde nel territorio, ma è assai diffuso anche nella società e comune a quasi tutti gli italiani. Non per niente più della metà, anche nel sud, si dice d’accordo con la rivolta dei “Forconi”, nato peraltro in Sicilia.

Lì, in quella regione di vivaci buontemponi, non nuovi a queste ardite imprese, si acuisce per il tipo di economia espresso: piccoli imprenditori, imprese familiari di poche unità che vedono peggiorare da troppo tempo la situazione economica, cadere le certezze acquisite con il lavoro e la fatica e che, all’orizzonte, intravedono solo precarietà e fallimento.
La feroce tassazione e le cartelle di Equitalia mettono in discussione la sopravvivenza stessa delle aziende e delle persone, che faticano a reggere la competizione del mercato e sono costrette a licenziare, a chiudere o a delocalizzare: il prelievo fiscale è sempre più asfissiante e insostenibile.

Nell’azione degli autonomisti veneti c’è anche, sicuramente, un po’ di endemico razzismo e di xenofobia da parte di chi oggi cavalca la crisi per seminare odio e diffidenza, soprattutto contro immigrati, meridionali e diversamente padani.
Questi ingredienti, pericolosissimi per la democrazia, vanno repressi e tenuti ben distinti dalle motivazioni più generali e oggettive della protesta.

Domanda retorica: ma se in Italia va tutto bene, tutti sono contenti, i soldi non mancano, c'è pane e lavoro per tutti, le tasse sono giuste e si traducono in servizi, le aziende nascono e non chiudono, le città sono pulite, gli ospedali e le scuole sono eccellenze, non c'è corruzione, i politici sono missionari e benefattori, le banche non strozzano e incoraggiano il credito, i giovani sono occupati e gli anziani vivono tranquilli con la propria pensione…. 
perchè mai un popolo dovrebbe lamentarsi, insorgere e fare la rivoluzione col trattore travestito da carro armato?
4 aprile 2014                                    (Alfredo Laurano)



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